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Giovedì Santo: il dono (e la sfida) di essere sacerdote

Al sacerdote è affidata, tra le tante, una sfida che oggi rappresenta un vero e proprio segno dei tempi. In questo tempo che per la Chiesa assomiglia molto alla primavera in cui tutto fiorisce o tutto gela in un attimo, prendere sul serio i propri fratelli e sorelle, come diceva il messaggio già ricordato, vuol dire accompagnarli a riconoscere la Voce che chiama alla pienezza della vita perché diventi a sua volta un dono. Vuol dire tornare ad annunciare a tutti una visione responsoriale dell’esistenza; come direbbe il compianto don Tonino Bello: “Non recintatevi dentro di voi circoscrivendo la vostra vita in piccoli ambiti egoistici, invidiosi, incapaci di aprirsi agli altri. Appassionatevi alla vita perché è dolcissima. Mordete la vita!”

“Io so che il mio prete non è perfetto! Anche lui si arrabbia, si rattrista, si commuove, gioisce, fa i gavettoni all’oratorio… E poi ci sono quei momenti quando sta lì in chiesa tra i banchi da solo con la testa tra le mani di fronte alla Croce, o a Messa a guidare tutti noi a Dio… Vedi, a me non interessa che abbia già capito tutto, ma che non abbia paura di camminare con me, accanto a me e a tutti quanti noi. A me piace quando mi prende sul serio e mi ricorda chi sono chiamato ad essere; allora sì, anche quando è teneramente fermo (come dice sempre lui), so che mi vuole bene”.

Il Giovedì Santo la Chiesa ricorda l’istituzione del sacerdozio ministeriale e ringrazia il Signore per questo. Il sacerdozio ministeriale è un dono speciale che il Signore Gesù fa alla Chiesa e che, come tutti i doni di Dio, non è un dono statico, ma un dono dinamico che chiede di essere custodito ed alimentato anche attraverso la preghiera della comunità per i propri sacerdoti.

È un dono fatto ad alcuni “chiamati” non perché essi trattengano per sé quanto ricevuto, ma perché attraverso il loro ministero tutta la comunità possa essere raggiunta dall’amore di Dio, dalla sua misericordia e celebrarla, in modo particolare, nei Sacramenti.

Il messaggio di un giovane di un gruppo parrocchiale con cui si apre questa breve riflessione contiene in sé molti elementi significativi del dono che rappresenta un presbitero per la sua comunità, primo tra tutti una preziosa umanità che – attraversata dalle diverse sfumature emotive del quotidiano – ritrova il suo centro e le sue radici quando “con la testa tra le mani” si pone in ascolto di Dio e ricorda a tutti la struttura antropologica fondamentale che è apertura a Dio, la necessità – non l’obbligo – di non perdere di vista il Signore, di curare la propria vita spirituale.

C’è un ulteriore tratto distintivo che esprime in maniera genuina la natura sinodale, sponsale e paterna del ministero; al sacerdote si domanda di camminare con la propria comunità, accanto a ciascuno, con il passo del più lento, del più fragile. Egli si pone accanto alle famiglie in uno scambio reciproco di pro-vocazione del primato dell’Assoluto di Dio nella vita spirituale tra i mille impegni e, d’altra parte, della incredibile concretezza agapica in cui si può incarnare quello stesso Assoluto nelle relazioni quotidiane e feriali tra coniugi e genitori e figli.

Il sacerdote non vive tutto questo in solitaria, ma inserito in un costitutivo legame di comunione con il proprio Vescovo e con i confratelli all’interno del presbiterio, espressione di sinodalità ed esperienza di fraternità riconciliata attorno alla figura paterna del Vescovo.

Al sacerdote è affidata, tra le tante, una sfida che oggi rappresenta un vero e proprio segno dei tempi. In questo tempo che per la Chiesa assomiglia molto alla primavera in cui tutto fiorisce o tutto gela in un attimo, prendere sul serio i propri fratelli e sorelle, come diceva il messaggio già ricordato, vuol dire accompagnarli a riconoscere la Voce che chiama alla pienezza della vita perché diventi a sua volta un dono. Vuol dire tornare ad annunciare a tutti una visione responsoriale dell’esistenza; come direbbe il compianto don Tonino Bello: “Non recintatevi dentro di voi circoscrivendo la vostra vita in piccoli ambiti egoistici, invidiosi, incapaci di aprirsi agli altri. Appassionatevi alla vita perché è dolcissima. Mordete la vita!”.

Il Giovedì Santo la Chiesa ringrazia per un altro grande dono intimamente connesso con il sacerdozio ministeriale, ovvero quello dell’Eucaristia che dà forma all’esistenza di un prete: “Le parole dell’Istituzione delineano la nostra identità sacerdotale: ci ricordano che il prete è uomo del dono, del dono di sé, ogni giorno, senza ferie e senza sosta. Perché la nostra, cari sacerdoti, non è una professione ma una donazione; non un mestiere, che può servire pure per fare carriera, ma una missione” (Papa Francesco, Palermo 2018).

Ringraziamo il Signore per il dono di coloro che nella comunità sono costituiti pastori, padri, maestri, sacerdoti e che ciascuno chiama fratello maggiore, guida, educatore… tanti modi per dire la ricchezza di un ministero che – come ricordato dai Vescovi durante la Messa Crismale alla rinnovazione delle promesse sacerdotali – consiste nel condurre tutti a Cristo Signore, “unica fonte di salvezza”.

Oronzo Marraffa