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Prima Assemblea sinodale delle Chiese in Italia: intervento introduttivo di Erica Tossani, della Presidenza del Comitato Nazionale del Cammino sinodale

Erica Tossani, della Presidenza del Comitato Nazionale del Cammino sinodale introduce ai lavori della Prima Assemblea sinodale (Foto Calvarese/SIR)

Ben ritrovati.
Non vi nascondo che prendere la parola è per me motivo di grande emozione. Non solo perché si tratta di dire qualcosa davanti ad un’Assemblea così prestigiosa e numerosa e nemmeno soltanto per la solenne bellezza del luogo in cui ci troviamo: elementi che già di per sé fanno tremare i polsi. Ma soprattutto perché oggi in modo tutto speciale sentiamo risuonare, potente e dolce, questa Parola: “Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete” (Lc 10,23).

Beati gli occhi che vedono ciò che noi vediamo! E ciò che noi stiamo vedendo, ciò a cui stiamo prendendo parte, è il venire alla luce di un nuovo volto di Chiesa, auspicato e desiderato dal Concilio Vaticano II, di cui in questo luogo fu piantato il germe iniziale. Il Cardinale Mario Grech, Segretario Generale del Sinodo dei Vescovi, nelle giornate di formazione per i facilitatori precedenti l’inizio della seconda sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria, ha usato un’immagine bellissima: quella della “levatrice”, che con cura e competenza accompagna il nascere di una nuova vita. Il nascere di un nuovo volto di Chiesa: è questo ciò che noi stiamo vedendo ed accompagnando oggi.
Niente di meno!

Raccogliendo il caloroso invito di Papa Francesco, abbiamo iniziato questo Cammino. E dopo tre anni è davvero un dono poterci ritrovare qui, oggi, insieme. Innanzitutto, per fermarci a contemplare la strada fatta, con le sue fatiche. In secondo luogo, per non perdere l’occasione di gustare l’orizzonte che pian piano si sta aprendo e che rinvigorisce il desiderio di continuare a camminare.

Siamo partiti sollecitati dal Santo Padre, guidati da una forse vaga ma non per questo meno autentica intuizione dello Spirito, motivati dalla passione per il Vangelo e per l’umanità, un po’ costretti dalle sfide che la realtà ci sta ponendo dinnanzi. Ed è stato un mettersi in cammino senza sapere bene “come si facesse”. In questo senso è stato prezioso il riferimento alle esperienze dei Convegni Ecclesiali: esperienze riconosciute come “sinodali”. A camminare insieme stiamo imparando mentre camminiamo. Tutti noi abbiamo ben presente le fatiche che questo processo di apprendimento ha comportato e comporta: la fatica, prima e primitiva, di viaggiare con compagni che “ci siamo ritrovati” e che, probabilmente, in partenza non avremmo scelto; la fatica di riconoscerci reciprocamente e di far spazio al contributo di ognuno; la fatica di capire come armonizzare passi e velocità che appaiono e che rimangono diversi; la fatica di imparare ad abitare con pacatezza, ma anche con parresia e grande libertà interiore, gli ostacoli, le resistenze date da processi, strutture, prassi, mentalità, che chiedono la pazienza della goccia che scava la roccia; la frustrazione di non aver ben chiare tappe, metodi, meta e di non riuscire sempre ad immaginare i passi possibili.

Oltre a riconoscere le innegabili fatiche, oggi dobbiamo e possiamo anche guardare e gioire delle perle preziose di cui questo cammino è disseminato e che sono segno di un fuoco che si è acceso e che, pian piano, con i tempi che sono quelli di un processo, sta iniziando a riscaldare le nostre Chiese. Segni che, anche se spesso non vengono «in modo da attirare l’attenzione» (cfr. Lc 17,20), dicono di un cambiamento quasi rivoluzionario o, meglio, di una conversione in atto.

Innanzitutto, il cambiamento del punto di partenza. Il Cammino sinodale, quello italiano così come quello universale, ha preso avvio dall’ascolto: ascolto della vita delle persone, ascolto delle esperienze delle Chiese locali, ascolto della realtà e delle istanze del mondo. Ascolto certo perfettibile, ma che dice ed è già un passo concreto e fondamentale per una Chiesa che vuol essere missionaria, cioè “nel mondo e per il mondo”, e che dunque non può non partire dalle domande, dalle sofferenze, dalle gioie e dai desideri degli uomini e delle donne di questo tempo (cfr. GS 1). È dalla vita reale che siamo partiti per capire, alla luce del Vangelo, dove andare; ed è alla vita reale che questo processo deve e vuole tornare.

Un secondo elemento degno di nota è che questo Cammino ha inteso e intende coinvolgere il più possibile tutto il Popolo di Dio, non solo alcuni. Guardiamo a noi qui presenti oggi. Certo, non siamo ancora “todos, todos, todos”, non vogliamo idealizzare uno stato dell’arte decisamente perfettibile e in fieri, ma non possiamo nasconderci che l’esser qui insieme, laici, laiche, Vescovi, preti, religiose e religiosi, nella diversità di competenze, ruoli, carismi e ministeri che ci contraddistingue, per continuare a discernere e costruire insieme i passi di questo cammino, non è un segno che possiamo permetterci di trascurare! È un segno del Regno che c’è già e che viene! Ci dice che è possibile, anche se faticoso, continuare a tendere, a credere e a dar corpo a questa possibilità di camminare insieme in quell’“armonia delle differenze” che lo Spirito rende possibile, come ci ricorda Papa Francesco. Tenere aperto il dialogo, continuare a stare seduti allo stesso tavolo attraversando gli inevitabili conflitti che emergono e mettendo in discussione le proprie certezze, senza cedere alla facile scorciatoia di far saltare il banco, è forse la più grande profezia che possiamo essere e portare al nostro tempo: un tempo in cui pare che, dinnanzi alle differenze, le uniche opzioni possibili siano l’assimilazione, la divisione o la guerra.

Si è da poco conclusa la XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi. Tra i doni più grandi, non solo per i presenti, c’è certamente quello di aver respirato ancora una volta e a pieni polmoni l’universalità del Vangelo e di aver preso consapevolezza, non senza commozione, che la Buona Notizia si è diffusa da un confine all’altro della terra e si è incarnata ovunque! Potersi immergere nella straordinaria diversità di esperienze delle Chiese di tutto il mondo, gustare la gioia e la fatica dell’incontro fra culture e tradizioni differenti, permettere al mondo e alle sue istanze di squarciare l’angusta prospettiva da cui spesso guardiamo la storia, anche quella della salvezza: tutto questo dice la ricchezza del Sinodo universale. Pur con le dovute proporzioni, anche il Cammino Sinodale delle Chiese in Italia ci ha regalato e continua a regalarci la medesima esperienza: la bellezza di incontrarci, di conoscerci e riconoscerci nelle nostre specificità e differenze geografiche, culturali ed ecclesiali, di andare oltre il nostro piccolo orto, uniti da quella comune passione per il Vangelo e per l’umanità che ci fa ardere il cuore e che ci inquieta. In fondo, siamo qui per questo oggi: perché è la passione per il Vangelo e per l’umanità che ci brucia dentro! E perché vogliamo continuare a cercare insieme il modo di essere, per gli uomini e le donne del nostro tempo, segno sempre più autentico e gioioso dell’Amore di quel Padre che «ha tanto amato il mondo (questo nostro mondo!, ndr.) da dare il Figlio unigenito» (Gv 3,16).

Chiudendo il Sinodo dei Vescovi, Papa Francesco ha ricordato la bellissima preghiera – Il ballo dell’obbedienza – di Madeleine Delbrêl. Facciamo nostro lo stesso desiderio: che le Chiese in Italia ritrovino, insieme, il gusto di «danzare, seguire, essere gioiose, essere leggere, e soprattutto non essere rigide». Per annunciare al mondo il Vangelo «non come un gioco di scacchi dove tutto è calcolato, non come una partita dove tutto è difficile, non come un teorema che ci rompa il capo, ma come una festa senza fine, come un ballo» a cui l’umanità tutta è invitata. «Signore, vieni ad invitarci» (cfr. Madeleine Delbrêl, Il ballo dell’obbedienza)!