Prima Assemblea sinodale: Lectio Divina di don Dionisio Candido
"La forza dello Spirito e la preghiera concorde" è il titolo della Lectio Divina tenuta da Don Dionisio Candido, Responsabile dell’Apostolato Biblico (CEI) durante la sessione pomeridiana del 16 Novembre della Prima Assemblea sinodale. Di seguito il testo. (Foto Calvarese/SIR)
Testo biblico
Gesù disse: 1,8«Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e di me sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra».
12Allora ritornarono a Gerusalemme dal monte detto degli Ulivi, che è vicino a Gerusalemme quanto il cammino permesso in giorno di sabato. 13Entrati in città, salirono nella stanza al piano superiore, dove erano soliti riunirsi: vi erano Pietro e Giovanni, Giacomo e Andrea, Filippo e Tommaso, Bartolomeo e Matteo, Giacomo figlio di Alfeo, Simone lo Zelota e Giuda figlio di Giacomo. 14Tutti questi erano perseveranti e concordi nella preghiera, insieme ad alcune donne e a Maria, la madre di Gesù, e ai fratelli di lui.
2,1Mentre stava compiendosi il giorno della Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. 2Venne all’improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte impetuoso, e riempì tutta la casa dove stavano. 3Apparvero loro lingue come di fuoco, che si dividevano, e si posarono su ciascuno di loro, 4e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere di esprimersi.
5Abitavano allora a Gerusalemme Giudei osservanti, di ogni nazione che è sotto il cielo. 6A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata, perché ciascuno li udiva parlare nella propria lingua. 7Erano stupiti e, fuori di sé per la meraviglia, dicevano: «Tutti costoro che parlano non sono forse Galilei? 8E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? 9Siamo Parti, Medi, Elamiti, abitanti della Mesopotamia, della Giudea e della Cappadòcia, del Ponto e dell’Asia, 10della Frìgia e della Panfìlia, dell’Egitto e delle parti della Libia vicino a Cirene, Romani qui residenti, 11Giudei e prosèliti, Cretesi e Arabi, e li udiamo parlare nelle nostre lingue delle grandi opere di Dio». 12Tutti erano stupefatti e perplessi, e si chiedevano l’un l’altro: «Che cosa significa questo?». 13Altri invece li deridevano e dicevano: «Si sono ubriacati di vino dolce» (At 1,8.12-14; 2,1-13).
Meditatio
Le parole con cui si apre il nostro brano degli Atti degli Apostoli (At 1,8) sono una risposta di Gesù ad una precedente domanda dei discepoli: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno per Israele?» (At 1,6).
I discepoli avevano condiviso con lui quaranta giorni dopo la sua risurrezione. Era stato sicuramente un tempo di grazia. Chi poteva aspettarselo? In fondo, Gesù con la risurrezione aveva concluso il suo itinerario di vita in modo glorioso. Ma evidentemente la sua missione non era ancora finita. Il Risorto è tornato ad educarli alla logica scandalosa e folle della Pasqua: quella logica secondo cui vince chi ama di più. Se per tre anni aveva insegnato loro ad «amare Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutta la mente e con tutta la forza. E il prossimo loro stessi» (cf. Mc 12,30-31), in quei quaranta giorni, alla luce della sua esperienza personale, avrà forse insegnato loro a lasciarsi amare, a lasciarsi raggiungere nella morte dei loro peccati per risorgere a vita nuova.
Gesù non mortifica la loro domanda, anche se imperfetta: dirotta però la attenzione dal quando verrà il Regno al chi sarà protagonista del tempo che prepara il Regno: «Riceverete la forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi, e sarete miei testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino ai confini della terra» (At 1,8).
Con la sua Ascensione al cielo si chiude definitivamente l’esperienza terrena di Gesù (At 1,9; cf. Lc 24,51). Non bisogna più stare a guardare il cielo (cf. At 1,11). I discepoli devono imparare a lasciarlo andare. Devono avere il coraggio della sua assenza. Lo aveva detto: «Vado a prepararvi un posto (Gv 14,2); del luogo dove io vado, conoscete la via (Gv 14,4); è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Paràclito; se invece me ne vado, lo manderò a voi (Gv 16,7)». L’allontanamento di Gesù dalla vista dei discepoli, per quanto drammatico per i discepoli, è in fondo un gesto di fiducia verso di loro, chiamati adesso a vivere in autonomia e creatività la loro vita di fede.
Solo dopo l’Ascensione il dono dello Spirito potrà renderli protagonisti della nuova fase della Chiesa nascente. D’ora in poi i discepoli dovranno riuscire a tenere pura la loro coscienza per ascoltare la voce interiore dello Spirito e dovranno assumersi la responsabilità di essere testimoni adulti e affidabili.
Il libro degli Atti comincia a mettere in rilievo i primi segni di questa nuova stagione della Chiesa e dell’umanità. Tra questi primi segni (At 1,13-14) c’è la comunità dei discepoli stessa, insieme variegata e unita: al suo interno gli apostoli (undici in questo momento, cf. 6,14-16), ma anche Maria, le donne – probabilmente le stesse che avevano seguito Gesù dalla Galilea –, e altri familiari di Gesù.
Per chi ha ancora negli occhi la scena della crocifissione, desta stupore e una tenerezza infinita il pensiero che Maria voglia anche solo stare fisicamente vicino a quei ragazzi, che avevano tradito e abbandonato suo figlio nel passaggio più doloroso della vita: quello di una condanna ingiusta e di una morte dolorosa. Maria, presente ai piedi della croce, ora è insieme ai grandi assenti di quel momento cruciale. Davvero è lei la prima risorta (cf. 1Cor 15,23), perché non ha ceduto al rancore, alla recriminazione, al biasimo. Sarebbero stati sentimenti legittimi, e forse hanno albergato per qualche tempo e a qualche livello nel suo animo. Eppure adesso Maria è qui, da vera discepola che sa ritessere rapporti di amicizia.
Maria peraltro aveva già ricevuto lo Spirito al momento dell’Annunciazione (Lc 1,35): quello stesso Spirito torna ora su di lei. E non è difficile riconoscere un progresso nella sua vita spirituale: ci sono passaggi di vita che richiedono un di più di grazia e una evoluzione dall’ “io” al “noi”. Questa volta, l’azione dello Spirito non riguarda solo lei, madre e discepola, ma si estende a tutti i discepoli presenti e futuri. C’è un nuovo parto da realizzare, una nuova generazione: sta nascendo la Chiesa, corpo di Cristo.
Lo strano gruppo misto e compatto insieme, dove spicca Maria, si ritrova nella stanza “al piano superiore” (At 1,13). Forse è un modo che Luca usa per indicare la stanza dell’Ultima Cena, il Cenacolo (At 1,14; cf. Lc 22,11-12; Mc 14,15). Di certo, in Atti la nuova comunità riparte da una casa, non dal tempio (cf. Lc 24,53). Proprio qui, l’Eucaristia, il dono che Cristo ha fatto di sé in un contesto familiare, consente a tutti di essere concordi (προσκαρτεροῦντες ὁμοθυμαδὸν) nella preghiera. È la fede che unisce.
Dieci giorni dopo (At 2,1), cinquanta dopo la Pasqua, si celebra Shavuot, Pentecoste: la “festa delle Settimane” (Es 34,22; Nm 28,26) o “della mietitura” o “delle primizie” (Es 23,16). Una festa che al tempo di Gesù era occasione per ringraziare il Signore per il dono dell’alleanza e della Legge. Quanto è difficile mantenere un’amicizia con Dio, con i fratelli di sangue, con gli amici, con i colleghi, con i conoscenti! Forse è bene ringraziare per il dono dell’amicizia e anche delle regole che accettiamo volentieri per tenere viva queste amicizie.
Quando lo Spirito irrompe nello scenario domestico che abbiamo rilevato (At 2,1-3), lo fa con immagini e suoni, che a stento possono essere descritti: come lingue di fuoco e vento prorompente. Se c’è qui un richiamo a Shavuot, allora Luca ci sta rimandando al monte Sinai, dove si erano scatenati eventi atmosferici straordinari, mentre Dio donava la legge al popolo tramite Mosè (cf. Es 19,16). Adesso la comunità cristiana sta ricevendo un’altra legge, la legge dello Spirito che i profeti avevano preannunciato, quella iscritta nel cuore dell’uomo (cf. Ger 31,33; Ez 36,26).
Tra gli effetti dell’irrompere dello Spirito sui discepoli, c’è il miracolo di intendersi, di percepire che si sta parlando la stessa lingua. Questo miracolo a volte accade. Per Luca questo miracolo riguarda tutti (cf. At 2,5), credenti e non-credenti, gente di ogni provenienza, indistintamente: anche al di fuori della cerchia dei discepoli (cf. At 6-8). Lo Spirito di Cristo rompe i confini della incomunicabilità, della solitudine, e crea intesa e comunione, quella che a volte non osiamo nemmeno sperare.
Chi si è accorto del fragore si assembra nei pressi della casa (cf. At 1,9-13). Tra costoro le reazioni sono diverse: c’è chi è confuso (συνεχύθη; v. 6), chi è estasiato (ἐξίσταντο; v. 7), chi è stupito (ἐθαύμαζον ; v. 7), chi è solo perplesso (At 2,12). E c’è anche chi non è per nulla convinto di quello che sta accadendo e canzona i discepoli (At 2,13). I sentimenti della folla, come sempre, sono misti: di apprezzamento, di timore e di derisione (cf. Lc 2,18.47; 5,26; 8,25). Una pennellata leggera – come è solito fare Luca – ma sufficiente per lasciare intendere che sin dall’inizio la storia della Chiesa non ha mietuto solo successi. Tutt’altro. Perché stupirsi quindi se ancora oggi il Vangelo incontra resistenze dentro e fuori la Chiesa?
Gli eventi narrati negli Atti non terminano certo qui. Tra poco, prima Pietro (cf. At 1-12) e poi soprattutto Paolo (cf. At 13-28) saranno protagonisti della grande evangelizzazione della Chiesa primitiva. Ciascuno a modo suo intuirà e realizzerà il sogno di far conoscere a tutti l’esperienza della misericordia di Dio, di cui sono stati i primi destinatari. Il libro degli Atti non si conclude con il martirio di Paolo, ma con il suo annuncio del Regno di Dio qui a Roma. Segno che il Vangelo va oltre gli evangelizzatori, che devono avere solo il coraggio di trasmetterlo integro e aggiornato alle generazioni che verranno.
Oratio
Proviamo adesso a fare nostro l’approfondimento di questo testo degli Atti, trasformandolo in preghiera.
– O Signore, dopo la tua risurrezione non sei fuggito nell’olimpo degli dèi, che ti sarebbe spettato. Sei tornato e sei rimasto con i discepoli ancora per tanti giorni, per istruirli sui fondamenti della vita cristiana: il perdono (cf. Lc 23,34), la pace (cf. Gv 20,19-21), la fame e la sete di giustizia (cf. Mt 5,6), la mitezza (cf. Mt 5,5), la purezza di cuore (cf. Mt 5,8), il dono di sé (cf. Gv 10,17-18). Tanti giorni con te per lasciarsi formare alla tua scuola.
Concedici, o Signore, di tornare e di restare tra i banchi del Vangelo, di non stancarci di imparare e di crescere nella fede.
– O Signore, tu sei scomparso dalla vista dei discepoli e sei asceso alla destra del Padre. Quanto doloroso deve essere stato quel distacco, per chi aveva condiviso per anni la strada con te. Eppure, così facendo, hai dato fiducia: hai creduto che i discepoli potessero diventare adulti, capaci di un’autonomia vera.
Concedici, o Signore, in questi giorni di fare scelte da credenti maturi e responsabili, con discernimento e coraggio.
– O Signore, da Risorto, come primo dono hai dato lo Spirito. Senza lo Spirito siamo come ossa inaridite, persone consumate dalla smania di primeggiare o dalla paura di compromettersi, dalla nostalgia dei tempi passati o dall’illusione di un futuro comunque migliore, dalla frenesia del tutto e subito o dall’inedia di un’attesa irresponsabile. Lo Spirito, invece, consente di capirsi in profondità, di parlare la stessa lingua, di cogliere le paure e le speranze di ciascuno.
Concedici, o Signore, di lasciarci guidare dallo Spirito, che dà luce per vedere cosa fare e forza per realizzare il bene possibile.
– O Signore, insieme con i discepoli abbiamo ritrovato Maria. A pensarci bene, anche solo questa immagine di prossimità ci è di ispirazione. Lei in preghiera e in dialogo con chi l’aveva più ferita. I traditori e i fedeli, gli estranei e i familiari, i lontani e i vicini, tutti insieme. È davvero l’inizio della risurrezione: quando ci si può spiegare per il male commesso e quando si prova a superare le ferite subite. Per tutti la morte non è l’ultima parola.
Concedici, o Signore, di essere come Maria, persone sempre aperte alle sorprese della grazia, capaci di raccogliere la sfida di fare incontrare la colpa con la riconciliazione e le ferite con le loro guarigioni.
– O Signore, la Chiesa nascente si ritrova in un ambiente che parla di Eucaristia. Adesso come quell’ultimo Giovedì Santo tutti diversi, ma accomunati dal fatto di essere amati da te, di essere destinatari del dono della tua stessa vita.
Concedici, o Signore, di celebrare e di interiorizzare ogni giorno la logica dell’Eucaristia, quella di chi si dona senza riserve per gli altri.
– O Signore, sin dall’inizio della storia della Chiesa non sono mancati problemi. Nella sua penna sempre delicata e propositiva, Luca non rinuncia a mostrare comunque una comunità composta da peccatori conclamati, a cominciare da Pietro: ma sono peccatori perdonati; alcuni di loro si erano allontanati, ma ora sono tornati a Gerusalemme (cf. Lc 24, 53); qualcuno aveva tradito, ma è stata tesa loro la mano della riconciliazione; molti sono ancora giovani, ma sono stati raggiunti dalla fiducia di chi sa che possono diventare adulti.
Concedici, o Signore, di vivere nella Chiesa con la consapevolezza che tu sei e rimani il Dio della vita e della speranza.
– O Signore, il finale del libro degli Atti è un finale aperto. Sarei cuorioso di sapere perché Luca non ci ha raccontato della morte di Paolo. Ma forse non è poi così importante. Come non è importante la fine di ciascuno di noi. L’importante è l’eredità spirituale che lasciamo, quella che non si consuma (cf. Mt 6,19-20), quella che anzi spinge ancora a distanza di secoli a costruire basiliche e cattedrali.
Concedici, o Signore, di vivere intensamente questi giorni, guardando al di là di noi e dando fiducia alle generazioni che verranno dopo di noi.