Apertura del Giubileo 2025 nella Diocesi di Castellaneta: l'omelia di Mons. Sabino Iannuzzi
Carissimi fratelli e sorelle,
vi ringrazio per la vostra presenza e per il senso di ecclesialità che, questa sera, stiamo condividendo. Siamo infatti l’autentica espressione di quel popolo di Dio in cammino, come auspicato dal Concilio Vaticano II (cfr. Lumen gentium, capitolo II).
Prima di varcare la soglia di questa Cattedrale, nella statio sul sagrato della Chiesa di San Michele, che ha preceduto il comune pellegrinaggio – segno e simbolo del nostro desiderio di “camminare insieme” verso il Signore, sorgente di speranza e di salvezza – siamo stati incoraggiati dalle parole dell’evangelista Giovanni, in cui Gesù ci ha ripetuto: «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me» (Gv 14,1). Parole, queste, che ci invitano a confidare pienamente in Lui e ad accogliere, con la stessa disposizione di Maria e Giuseppe, il mistero della sua presenza in mezzo a noi: Lui «che è venuto nella debolezza della carne, viene nella potenza dello Spirito e che verrà nella maestà della gloria» (San Bernardo, Discorso 5 sull’Avvento, 1).
Abbiamo anche ascoltato le parole di Papa Francesco, il quale ci ricorda il senso del nostro itinerario giubilare: la speranza. Che non è il semplice risultato dell’imprevedibilità del futuro, ma un “dono di Dio” che «nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce» (Francesco, Spes non confundit, 3); quindi, una speranza che non delude (cfr. Rm 5,5). E in questo tempo di grazia siamo invitati a «lasciarci “attrarre” di continuo dalla speranza, tenendola stretta, e permettere che attraverso di noi diventi sempre più “contagiosa” per quanti la desiderano» (cfr. Spes non confundit, 25).
Carissimi,
la speranza, virtù teologale da riscoprire in un periodo segnato da crisi ed incertezze – in cui molti hanno perso la fiducia nel futuro – è la forza che spinge gli uomini e le donne di ogni tempo ad alzare lo sguardo e a proseguire anche quando le ombre della storia sembrano infittirsi. Ed è proprio con questa disposizione interiore che siamo chiamati a vivere quest’anno giubilare, il primo del XXI secolo, intraprendendo un cammino di conversione e di misericordia, di fiducia e di gratitudine, come «occasione per tutti di rianimare la speranza» (Spes non confundit, 1), impegnandoci a «tenere accesa la sua fiaccola che ci è stata donata, e fare di tutto perché ognuno riacquisti la forza e la certezza di guardare al futuro con animo aperto, cuore fiducioso e mente lungimirante» (cfr. Francesco, Lettera a Mons. Fisichella per il giubileo 2025).
In questo anno di grazia, nella nostra Diocesi, così come nel resto del mondo, sono stati designati alcuni luoghi specifici nei quali si potrà «offrire l’esperienza viva dell’amore di Dio» (Spes non confundit, 6), che ci sussurra: «c’è speranza anche per te. C’è speranza per ognuno di noi» (Francesco, Omelia Notte di Natale 2025). Infatti, questa Chiesa Cattedrale, insieme al Santuario della Mater Domini di Laterza e al Santuario della Madonna della Scala di Massafra, sono state designate come “Chiese giubilari”, ossia delle «oasi di spiritualità dove ristorare il cammino della fede e abbeverarsi alle sorgenti della speranza» (Spes non confundit, 5).
Varcando la loro porta, con cuore docile e desideroso di ricominciare, sentiamoci accolti come pellegrini di speranza e lasciamoci rinnovare dal Signore. Infatti: ricevere in dono «l’indulgenza, permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio, tanto che, nell’antichità, il termine “misericordia” era interscambiabile con quello di “indulgenza”, a indicare la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini» (cfr. Spes non confundit, 23).
Oggi, Domenica fra l’ottava di Natale, la liturgia ci fa celebrare la Festa della Santa Famiglia di Gesù, Maria e Giuseppe ed il Vangelo di Luca, appena proclamato, ci ha ricordato lo smarrimento di Gesù dodicenne durante il pellegrinaggio a Gerusalemme e il suo ritrovamento nel Tempio. Maria e Giuseppe vivono un momento di angoscia, perché per tre giorni hanno cercato Gesù; ma anche di stupore di fronte alle parole del Figlio: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?» (Lc 2,39).
Una vicenda in cui è significativo riconsiderare, ancora una volta, le tre parole che ho condiviso nei miei auguri natalizi, capaci di illuminare anche la vita di ogni famiglia: stupore, gioia e pace.
- Lo stupore: è il sentimento di chi riconosce il passaggio di Dio nella propria esistenza. Come Maria e Giuseppe, rimaniamo sorpresi ogni volta che la vita ci pone di fronte al mistero di Gesù, anche quando – come loro – non comprendiamo tutto immediatamente, custodendo nel cuore la certezza che Dio sta realizzando il suo progetto d’Amore. Dopo tutto, lo stupore mantiene il cuore giovane, capace di aprirsi a ciò che è nuovo, a ciò che Dio compie inaspettatamente.
- La gioia: è la condizione di chi sperimenta la vicinanza di Dio. In mezzo alle fatiche quotidiane, la gioia cristiana non ci abbandona, perché sappiamo di non essere soli. Maria e Giuseppe gioiscono per questo Figlio straordinario, così come Anna, madre di Samuele, che – nella gioia e dopo tanta preghiera – ci insegna che ogni figlio è un dono e che la vita va affidata a Dio fin dal suo primo germogliare. Pertanto è a Lui, che nell’offerta, va restituita con gratitudine, perché noi ne siamo semplicemente custodi.
- La Pace: è il dono prezioso promesso dal Signore risorto. Una pace che scaturisce dalla comunione con Dio, che attraverso «il grande amore che ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente!» (cfr. 1Gv 3,1), si riversa nelle relazioni umane, a partire proprio dalla famiglia. Maria, Giuseppe e Gesù, uniti da un amore reciproco, testimoniano una pace che il mondo spesso ignora, ma che rimane il cuore pulsante di ogni comunità autenticamente cristiana. Non a caso, Maria non rimprovera il figlio, ma cerca di capire: «Figlio, perché hai fatto questo?» (Lc 2,48). Perché una spiegazione c’è sempre, e talvolta è più semplice e bella di quanto si tema. È un dialogo senza accuse, tra una coppia di genitori che ci sono e si vogliono bene – due realtà non sempre scontate, ma fondamentali – e un ragazzo (appena dodicenne) che ascolta e risponde.
Siamo “figli” e questo cambia radicalmente la nostra prospettiva, perché ci rende partecipi della vita divina e, contemporaneamente, ci introduce nella grande famiglia di Dio che è la Chiesa.
Con il Salmista abbiamo riconosciuto una beatitudine particolare: «Beato chi abita nella tua casa, Signore» (Sal 83).
La “casa del Signore” è il luogo dove si sperimenta la sua presenza, dove ci si sente accolti, consolati e perdonati. Il Giubileo ci invita a varcare con fiducia questa soglia della “casa del Signore”, per lasciarci riconciliare, soprattutto nei momenti di preghiera e di ascolto della Parola che la Diocesi promuoverà. Perché, come ricorda ancora Papa Francesco: «siamo invitati con diversi “momenti forti” a nutrire ed irrobustire la speranza, insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù» (cfr. Spes non confundit, 5).
Quando la speranza si nutre della Parola di Dio, essa cresce salda in ogni circostanza.
Il pellegrinaggio che abbiamo compiuto insieme verso la Cattedrale non ha voluto essere un semplice gesto esteriore (non avevamo bisogno di altre processioni!!!): ma un segno eloquente del nostro cammino interiore, che siamo chiamati a compiere in comunione fraterna.
«Mettersi in cammino – infatti – è tipico di chi va alla ricerca del senso della vita» (Spes non confundit, 5), così come fecero Maria, Giuseppe e Gesù, che «si recavano ogni anno a Gerusalemme per la festa di Pasqua» (Lc 2,41), o semplicemente per Maria e Giuseppe, quando non trovando Gesù nella carovana tra parenti e conoscenti fecero ritorno a Gerusalemme (cfr. Lc 2,45).
Anche noi – se davvero lo vogliamo – dobbiamo “andare” là dove il Signore ci attende, certi che Egli si fa trovare da «chi lo cerca con cuore sincero» (Sal 145,18).
Ognuno di noi custodisce nello zaino della propria vita spirituale: gioie, speranze, fatiche e desideri; ma dobbiamo sentirci parte di un’unica Chiesa-comunità, Famiglia di famiglie, chiamata a sostenersi reciprocamente.
È importante che questo Giubileo non resti un evento chiuso nelle nostre mura ecclesiali. Al contrario, siamo tutti inviati a portare nella società civile, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle famiglie, il riflesso di ciò che qui riceviamo in dono.
A voi, carissimi fratelli e sorelle, dico:
- lasciatevi toccare dallo stupore che nasce dall’incontro con Gesù;
- lasciate che la gioia invada le vostre case e le vostre relazioni;
- impegnatevi a costruire la pace partendo dai piccoli gesti quotidiani, nel dialogo, nella comprensione, nel perdono, sconfiggendo il tarlo dell’indifferenza, del voltare lo sguardo dall’altra parte;
- e, come raccomanda Papa Francesco: «oltre ad attingere la speranza nella grazia di Dio, ricordiamoci di riscoprirla anche nei segni dei tempi che il Signore ci offre… È necessario prestare attenzione al tanto bene presente nel nostro vissuto per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza. I segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza» (Spes non confundit, 7), da donare con particolare attenzione alle tante situazioni descritte dalle opere di misericordia corporale e spirituale (cfr. Francesco, Misericordiae vultus, 15)[1], da riscoprire e non dimenticare.
Agli occhi del mondo, tutto ciò può sembrare ingenuo o insufficiente, ma noi sappiamo che nel mistero pasquale di Cristo – fonte della speranza! – risiede la vera ed unica forza capace di cambiare realmente i cuori.
Carissimi,
iniziamo questo Giubileo Ordinario del 2025 alla luce del Natale, insieme alla Santa Famiglia di Nazaret, che ha vissuto nella quotidiana e disarmante semplicità.
Viviamo la nostra esistenza come pellegrini di speranza, che nella fede cercano di scoprire, giorno dopo giorno, con umiltà, fiducia e dedizione, il mistero di quel Bambino Gesù, da conoscere e a cui obbedire.
Con cuore grato, rinnovo il mio saluto a tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, esprimendo una particolare riconoscenza alle diverse Autorità civili e militari presenti, a cominciare dal Sindaco di Castellaneta dott. Giambattista Di Pippa, dall’Onorevole Vito De Palma, Parlamentare della Repubblica, dal Consigliere regionale Antonio Scalera, dai Sindaci di Laterza, Palagiano, Palagianello, Ginosa; così come ai confratelli del presbiterio diocesano, iniziando da Mons. Renzo Di Fonzo, Vicario Generale, don Mauro Ranaldi, Parroco della Cattedrale.
Un ringraziamento, non formale, alla Commissione diocesana chiamata a coordinare quest’anno giubilare, con a capo Don Giovanni Nigro, alla Corale diocesana, all’Ufficio diocesano per le Comunicazioni sociali che ci ha permesso di raggiungere quanti questa sera non hanno potuto essere fisicamente qui con noi, ai religiosi e alle religiose, ai giovani, alle famiglie, alle confraternite e ai diversi movimenti ecclesiali e, soprattutto, a quanti vivono situazioni di sofferenza e fragilità familiare.
Il Signore, che accompagna il cammino del suo popolo, ci conceda un cuore ardente di speranza, così che «la nostra vita possa manifestare con la credibilità della sua testimonianza: “Spera nel Signore, sii forte, si rinsaldi il tuo cuore e spera nel Signore” (Sal 27,14). Possa la forza della speranza riempire il nostro presente, nell’attesa fiduciosa del ritorno del Signore Gesù Cristo, al quale va la lode e la gloria ora e per i secoli futuri» (cfr. Spes non confundit, 25).
Amen!
+ Sabino Iannuzzi
[1] «Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti» (Francesco, Misericordiae vultus, 15).