Festa Patronale di San Nicola: l'omelia di Mons. Sabino Iannuzzi
Venerdì 6 Dicembre 2024 la Città di Castellaneta ha festeggiato San Nicola, Patrono della comunità e della Diocesi. Dopo la celebrazione dei Vespri presso la Parrocchia San Michele Arcangelo, la statua di San Nicola è stata traslata verso la Chiesa Cattedrale, dove Mons. Sabino Iannuzzi ha consegnato le chiavi della città al Santo ed ha presieduto la Santa Messa con il rinnovo e l’istituzione dei Ministri Straordinari della Santa Comunione.
Saluto caramente tutti voi, sorelle e fratelli, che questa sera siete convenuti nella nostra Chiesa Cattedrale per onorare San Nicola, patrono di questa città di Castellaneta e dell’intera Diocesi.
Un saluto colmo di gratitudine a Mons. Renzo Di Fonzo, Vicario generale, e a don Mauro Ranaldi, Parroco della Cattedrale, così come ai confratelli sacerdoti presenti, ad iniziare da quelli della Vicarìa di Castellaneta, ai diaconi e ai seminaristi.
Un deferente saluto e un sentito ringraziamento lo rivolgo al Dott. Giambattista Di Pippa, primo cittadino della nostra Città, così come alle altre autorità civili e militari presenti.
Fratelli e sorelle,
insieme al salmista (Salmo 88) continuiamo ad elevare ancora una volta – di generazione in generazione – il nostro eterno cantico di lode al Signore, di cui ricordiamo l’eterna fedeltà, sancita con un patto d’Amore, stabile e duraturo, che oltrepassi ogni nostra piccola o grande fragilità.
Questa sera – ancora una volta – siamo dinanzi al nostro Patrono per chiedere “luce e sostegno” per noi, per la nostra Chiesa locale e per questa nostra città di Castellaneta: ne abbiamo tutti bisogno!
È lui l’amico e il confidente, il modello per la nostra vita cristiana, il “fratello maggiore” a cui rivolgere lo sguardo nel comune desiderio di imitarne le virtù.
È proprio con la credibilità della sua testimonianza di vita che egli ci incoraggia a scrutare «l’ampiezza, la lunghezza, l’altezza e la profondità del mistero di Dio e di conoscere l’amore di Cristo che supera ogni conoscenza» (Ef 3,18) umana, per ritrovarci “persone nuove”, perché come ci ricordava San Paolo nella seconda lettura: «se uno è in Cristo, è una nuova creatura; le cose vecchie sono passate; ecco, ne sono nate di nuove» (2Cor 5,17).
Infatti, l’incontro con Cristo (il vero incontro che è possibile sperimentare nella forza della grazia sacramentale e nella prossimità autentica) ti cambia dal di dentro e ti rende una persona nuova.
Non si tratta di un semplice ritocco di immagine, come i filtri che spesso si usano sui social, che ti modificano la faccia, no!
Ti converte piuttosto il cuore, dando origine, come sosteneva Sant’Agostino per la devozione al Sacro Cuore di Gesù, «all’unione intima con Cristo, come luogo di un incontro d’amore, origine della sapienza più preziosa, che è quella di conoscere il Signore» (cfr. Dilexit nos, 103).
Lo è stato per San Paolo, per San Nicola e può esserlo per ciascuno di noi!
Confrontandoci con la Parola di Dio appena proclamata, lasciamoci interrogare a livello personale e comunitario dalle provocazioni che essa ci consegna.
Il Profeta Ezechiele, un uomo dotato di una profonda immaginazione e soprattutto di tanta speranza, viveva in un tempo molto buio. Un tempo che, per dirla alla maniera di Papa Francesco, è quello di un radicale cambiamento d’epoca, fatto di situazioni che – come nel nostro presente storico – rapidamente trasformano il modo di vivere, di relazionarsi, di comunicare e di elaborare il pensiero, di rapportarsi tra generazioni umane e di comprendere e di vivere la fede e la scienza.
Il Profeta Ezechiele vive ed opera nel VI secolo a.C., durante il tempo dell’esilio babilonese, quando in meno di vent’anni ben tre “grossi gruppi” di israeliti furono trascinati fuori dalla loro terra e condotti in esilio, con l’unico obiettivo di «addormentare il ricordo e le usanze della loro terra d’origine, soffocando il desiderio del ritorno».
Lo stesso profeta era stato condotto via da Gerusalemme, separato dal Tempio, dunque lontano dalla presenza viva del “Dio dei loro Padri”.
Ma proprio questo Dio, che non abbandona mai quanti Lui ha scelto ed eletto, manifesta la sua fedeltà. Annunzia a questo popolo: «Ritorna! Sebbene tu sia infedele, io voglio che tu viva» (Ez 34,16). Dunque, il Signore, non vuole la morte del peccatore, ma che si converta e viva (cfr. Ez 18,23; 33,11) ed il suo desiderio è sempre quello di perdonare, salvare, dare vita e trasformare il male in bene ed il bene in meglio.
Ecco – allora – anche dinanzi ai nostri occhi la meraviglia dell’agire di Dio.
Sebbene Israele lo abbia tradito e Gerusalemme stia per essere distrutta, Lui, il Signore, ancora una volta si occupa della loro vita. Perché Dio è fedele alla sua promessa di salvezza e manifesta tanta, ma tanta, misericordia.
Fedeltà e misericordia (di Dio) sono il motivo conduttore dell’agire del profeta-sentinella (Ezechiele) che, in questa terra d’esilio, avvista un gregge disperso per l’incuria dei suoi pastori ed annuncia la cura del Signore che, mosso da compassione, si rende “mendicante d’amore”: «andrò in cerca della pecora perduta, ricondurrò all’ovile quella smarrita, fascerò quella ferita e curerò quella malata, avrò cura della grassa e della forte; le pascerò con giustizia» (Ez 34,16).
Nel Vangelo di Giovanni è Gesù, il “Pastore bello”, che per amore e solo per amore, dà la sua vita per le pecore e le contagia di amore. È Lui il “Pastore bello e buono”. Un pastore che non ha nulla di debole, di remissivo o di sdolcinato, anzi tutt’altro.
Lui è il Pastore che combatte contro i lupi, non fugge; ma, si interpone fra ciò che dà la vita e ciò che genera la morte al suo gregge. Anche qui – per dirla alla maniera di Papa Francesco – è il pastore che manifesta la «rivoluzione della tenerezza» (EG 88), superando la tentazione della tiepidezza e dell’immobilismo.
Gesù sottolinea la differenza tra “l’essere per gli altri” (come lo è il pastore) e “l’essere per sé stessi” (nell’egoismo e nella superbia come il mercenario); tra il vivere per amare e il vivere per amarsi.
Infatti, l’amore per sé stessi, è la grande tentazione anche degli “amici di Gesù”. Una tentazione sempre in agguata nella quotidianità, per tutti, ad iniziare da me Vescovo.
Per questo motivo dobbiamo chiederci, sull’esempio di San Nicola, che seppe farsi prossimo degli altri (una prossimità nell’assoluto nascondimento): vogliamo davvero essere al servizio dell’altro e degli altri, di quanti ci sono affidati o vogliamo servirci dell’altro per affermare il nostro prestigio personale?
Vogliamo essere una Chiesa, un’istituzione, che “offre la vita”, oppure una Chiesa, un’istituzione, mercenaria che cerca di affermare sé stessa, cedendo alle idolatrie del potere e del successo ad ogni costo?
E su questo “crinale” – fratelli e sorelle carissimi – che tutti (nessuno escluso, uomini di Chiesa e delle istituzioni) ci giochiamo la credibilità e l’autorevolezza.
Siamo nel tempo liturgico dell’Avvento, quattro settimane che ci preparano al Natale, festa dell’incontro con il Signore, «che è venuto nella debolezza della carne, viene nella potenza dello Spirito e che verrà nella maestà della gloria» (San Bernardo, Discorso 5 sull’Avvento, 1). Ma è soprattutto il tempo per generare nuove relazioni, con quanti condividono la storia e la vita con noi, al fine di concepire “nuove forme di umanità”.
E come ogni tempo di “preparazione”, l’Avvento è un tempo di conversione, un tempo in cui possiamo – e dobbiamo, se davvero lo vogliamo – ridare vigore a quella particolare circolarità d’amore, in cui noi per primi – fin dal Battesimo – siamo stati rigenerati come «creature nuove», così da manifestare il grande desiderio del Signore: «lasciatevi riconciliare con Dio» (2Cor 5,20), in un dialogo sincero e profondo.
Tutto questo ci obbliga a non essere semplici spettatori, il più delle volte distratti e svogliati, che assistono inermi al progressivo svuotamento del valore e dell’originaria motivazione di una fede che attende ancora di essere realmente proclamata ed incarnata. La persona umana e l’intera comunità ne hanno bisogno. Noi tutti ne abbiamo bisogno!
Solo così potremo trasformare le nostre comunità ecclesiali e civili in spazi autentici di fraternità e solidarietà, dove lo stile dell’accoglienza, della cura, del sostegno e della comprensione potranno dare origine alla forza che alimenta la speranza di affrontare la complessità della vita insieme agli altri (ricercando, con desiderio, momenti di condivisione e di collaborazione che riconoscano l’autentico valore della dignità della vita stessa).
San Nicola, con la poliedricità della sua vita, fu un “pastore bello e buono” secondo il cuore stesso di Dio e con l’esemplarità della sua testimonianza, intessuta di attenzione, compassione e caritatevole prossimità, ci insegna che solo con una vita credente ed innamorata di Cristo ci si potrà realmente donare per il Vangelo.
Per questo motivo, lui per primo si sforzò di essere un credente umile, libero dalla cupidigia, dalla bramosia dei beni e dalla ricerca del potere e del successo.
Fu piuttosto ricco di amore per Dio e per gli uomini, in modo particolare verso i più poveri e bisognosi, a cui elargiva la speranza di Dio contro ogni speranza umana; testimoniando in ogni situazione la bellezza ed il primato del Vangelo, sino ad essere perseguitato ed arrestato e meritarsi il titolo di “confessore della fede”, al fine di assumere lo stile di Dio che «non vede le apparenze, ma guarda il cuore» (Cf. 1Sam 16,7).
È questo l’augurio che faccio alle nostre cinque comunità parrocchiali di Castellaneta, a cui questa mattina è stato consegnato il Centro d’Ascolto cittadino della Carità, in Via Mazzini: che insieme, proprio sull’esempio di San Nicola, possano incarnare la bellezza della prossimità caritatevole e discreta, nell’armonia della diversità e con la forza dell’unità fraterna.
In conclusione, desidero rivolgere un saluto particolare alle sorelle e ai fratelli che si dedicano al servizio di Ministri Straordinari della Santa Comunione e qui convenuti – come da tradizione – per rinnovare la loro risposta alla chiamata che ricevono dal Pastore del gregge, perché, attraverso di loro, il duplice dono della Parola e della Comunione eucaristica possa raggiungere quanti, a causa della sofferenza fisica o dell’età, sono impossibilitati a prendere parte alle celebrazioni.
Vi ringrazio di cuore per il tempo che offrite a questi nostri cari fratelli che sono nella necessità. Fate in modo che – come auspicato da Papa Francesco nella Bolla di indizione per il prossimo Giubileo Ordinario – il servizio di carità da voi svolto si trasformi sempre più in un segno di speranza per gli ammalati e le persone anziane. Non dimenticatelo mai: prima che liturgico, il vostro è un servizio d’amore (di carità) da incarnare.
Carissimi fratelli e sorelle,
continuiamo a lodare il Signore “gloria e corona dei Santi” e, in questa ricorrenza festosa di San Nicola, chiediamo per la sua intercessione tre doni, quanti furono i sacchetti d’oro che il nostro Santo elargì per la dote delle tre fanciulle, iconograficamente rappresentati dalle “tre sfere” poste sul palmo della sua mano.
Anzitutto, per me Vescovo e per tutti i presbiteri di questa Diocesi. Chiediamo il dono della coerenza per essere pastori ad immagine e somiglianza del pastore bello e buono che è Gesù, disponibili all’ascolto vero, solleciti nel dare tutto senza pretesa alcuna, solidali con tutti e particolarmente con i più fragili e deboli.
Un secondo dono lo imploriamo per la nostra Chiesa diocesana. Che, apprestandosi a vivere il Giubileo Ordinario, il primo del XXI secolo, sia sempre più appassionata del Signore, fino ad essere trasparenza del Vangelo di salvezza in attesa del compimento del Regno; disponibile a “camminare insieme”, prestando attenzione ad accogliere i rapidi cambiamenti.
Infine, il terzo dono lo chiediamo per gli uomini e le donne impegnati nelle istituzioni amministrative e politiche del nostro territorio (ad iniziare dalla nostra Castellaneta), perché sorretti dall’onesta, dalla legalità e nella ricerca dell’unità, sappiano discernere le vere necessità della collettività, ponendosi sempre al servizio del bene comune.
O caro San Nicola,
nostro Santo Patrono,
intercedi, infine, presso il Signore,
per il particolare dono della Pace ai tanti paesi in guerra
(ben 91 paesi su 56 conflitti)!
Ne abbiamo tutti davvero bisogno.
Amen!
+ Sabino Iannuzzi