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Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa in diretta TV su Rai 1

Questa mattina Mons. Sabino Iannuzzi ha presieduto la Santa Messa in diretta su Rai 1 presso la Parrocchia S.M. Assunta di Mottola. Di seguito l'omelia pronunciata da Mons. Vescovo.

«O Padre, […] fa’ che sappiamo donare tutto quello che abbiamo,
sull’esempio di Cristo che ha offerto la sua vita per noi».

Carissimi fratelli e sorelle, e voi che da casa condividete con noi l’Eucarestia, mettendoci in ascolto della Parola di Dio abbiamo elevato al Padre questa invocazione, chiedendogli di trasformare anche le nostre vite in un dono d’amore.

Vorremmo fare nostro lo sguardo attento e profondo del Signore sulla storia e sulle vicende umane, per discernere come lungo la strada della ricerca dell’incontro con Dio, a volte, possano interporsi ostacoli che disorientano e allontanano.

Domenica scorsa, nel Vangelo, Gesù ha mostrato benevolenza verso uno scriba, riconoscendo in lui una sincera predisposizione al dono di sé, nell’amore a Dio e al prossimo, affermando che non era «lontano dal Regno di Dio» (cfr. Mc 12,34).

Nel Vangelo di questa domenica, invece, il Signore esprime con amarezza come la vanità, l’avidità e la doppiezza degli scribi abbiano preso il posto di Dio, sostituendo la ricerca del Regno con quella di ammiratori e spettatori plaudenti, tale da trasformare il dono in pretese personali. Gli scribi sono mossi esclusivamente dal desiderio di farsi vedere: perdendo così la capacità di riconoscere Dio, gli altri e persino se stessi. Al contrario, a chi ha familiarità con le “cose di Dio” è chiesto di indicare la strada verso il Regno. Questo rappresenta il vero significato del suo dono a Dio e ai fratelli.

In Israele le vedove, insieme a stranieri e orfani, rientravano nella categoria delle persone più vulnerabili e indifese ed il fatto che gli scribi divorino le case delle vedove si rivela ancora più grave poiché essi si servono della legge di Dio per non perdere i loro privilegi.

Nei poveri – si legge nel Documento finale del Sinodo dei Vescovi da poco concluso – «la comunità cristiana incontra il volto e la carne di Cristo, che, da ricco che era, si è fatto povero per noi, perché noi diventassimo ricchi per mezzo della sua povertà (cfr. 2Cor 8,9)».

Di fronte alle generose offerte fatte dai ricchi al tempio – di cui pare che il sacerdote annunciasse l’entità a voce alta affinché tutti i presenti potessero sentirlo e restare ammirati – il Signore osserva come anche un gesto semplice e naturale, come il contribuire alle necessità del tempio, possa essere snaturato e reso opaco dall’ostentazione del superfluo, presentato come un dono generoso.

Diciamolo fraternamente; qui la posta in gioco non è l’offerta al tempio, ma la visione, il modo di pensare e di testimoniare la vita che per ogni credente, sull’esempio del Figlio di Dio, «è un bene ricevuto che tende per natura sua a divenire bene donato» . Ecco perché il Signore stesso ci invita a uno sguardo più attento e a considerare oltre l’apparenza il gesto della vedova: ella «vi ha gettato tutto quello che aveva, tutto quanto aveva per vivere» (Mc 12,44).

«Gesù presta attenzione in modo tale da ammirare le cose buone che riconosce in noi […] Quanto è bello sapere che se gli altri ignorano le nostre buone intenzioni o le cose positive che possiamo fare, a Gesù non sfuggono, anzi le ammira», ci ricorda Papa Francesco nella sua ultima Enciclica Dilexit nos .

Nel gesto della vedova povera non vi è ambizione alcuna. È piuttosto l’espressione autentica della sua fede. È cosciente che offrire il superfluo non è donare, forse è semplicemente liberarsi di qualcosa che non si sa più dove custodire.

«Nessuno è così povero da non poter donare qualcosa di sé nella reciprocità» .

Penso, solo per fare un esempio, al famoso “tempo libero” che faticosamente diventa “tempo liberato” per dare priorità a ciò che lo esige. E penso anche al tempo e allo spazio riservati per la cura realistica della nostra relazione con Dio, con gli altri, con le cose e noi stessi. A fare la differenza non è la quantità del dono – suggerisce il Signore –, ma la qualità delle relazioni che rivelano chi siamo e, allo stesso tempo, esprimono la nostra appartenenza.

Guardando alla storia di tanta “santità della porta accanto” potremmo affermare che questa vedova ci insegna la beata grandezza dei piccoli gesti di ogni giorno: è solo accettando la nostra povertà che possiamo riscoprire il volto di Dio!

Sarà dunque segno profetico e scelta di fede abitare le periferie del nostro quotidiano per incontrarvi gli ultimi della fila della vita perché è proprio lì che il Signore ci attende. Sarà anche segno di speranza smettere di cercare il proprio tornaconto per fare spazio a Dio. Sarà segno di carità credibile camminare insieme con tutta la comunità annunciando sempre e a tutti l’amore di Cristo che «ha offerto la sua vita per noi» che lo attendiamo per la nostra salvezza (cfr. Eb 9,28).

Amen!