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Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per la Solennità del Corpus Domini

Saluto tutti voi, cari fedeli dell’intera comunità cittadina di Castellaneta.

Come da tradizione, ci ritroviamo insieme in questa nostra Chiesa Cattedrale per celebrare la festa del Corpo e del Sangue del Signore ed accompagnarlo poi, processionalmente, per alcune delle nostre strade.

Saluto il Dott. Giambattista Di Pippa, nostro Sindaco, le autorità civili e militari; Mons. Renzo Di Fonzo, Vicario generale, don Oronzo Marraffa, Vicario foraneo, don Mauro Ranaldi, Parroco della Cattedrale, gli altri parroci della città, i sacerdoti, i diaconi, i frati minori, le confraternite ed in particolare quella del SS. Sacramento che ha l’onore dell’organizzazione di questo evento di fede.

La Festa del Corpus Domini fu voluta nel Medioevo, quale risposta al negazionismo dei movimenti ereticali, per affermare la presenza reale del Signore nelle specie eucaristiche e nel 1264 fu estesa alla Chiesa tutta da Papa Urbano IV.

Ogni anno, mentre nel giovedì santo – durante il Triduo pasquale - facciamo memoria dell’istituzione del mirabile sacramento, fonte e culmine della vita cristiana (SC 10), in questo contesto celebrativo vogliamo contemplare ed adorare il mistero dell’Amore donato nell’offerta del Suo corpo e del Suo sangue per la vita del mondo, quale fondamento d’unità per la vita della comunità.

Così come, al termine della santa messa, lo accompagneremo processionalmente per le vie della città riconoscendolo come il Risorto che cammina “accanto” ed “insieme” con noi, al di fuori della sacralità del Tempio, per donare nella gratuità benedicente, sempre e di nuovo, fiducia e speranza, soprattutto per questo non facile presente storico, tempo complesso e pieno di ferite della più disparata natura, segnato purtroppo dal non rispetto per la dignità infinita della persona umana (che è sempre autentico dono di Dio, da custodire in qualsiasi contesto culturale) e di tanta e disumana violenza.

La Parola di Dio appena proclamata trova la sua particolare convergenza sul tema e sul valore dell’Alleanza.

Dall’Antica alleanza – suggellata da Mosé con il sangue dell’offerta dei sacrifici di comunione, con l’impegno ad ascoltare ed eseguire tutti i comandamenti del Signore, anche se poi di fatto così non fu – si passa ad una Nuova Alleanza, questa volta siglata dal Signore Gesù con l’offerta della propria vita sull’altare della Croce, per «ottenere così una redenzione eterna» (Eb 9,10), inaugurando il tempo nuovo della grazia, quale dono che proviene dall’alto.

E’ l’offerta stessa di Gesù, il nuovo Mosè, che donandosi (cioè facendosi “Eucarestia”) “santifica” e, per quanti lo accolgono, restituisce la percezione (segno visibile e raggiungibile da tutti) che Dio è amore, ci è amico, non è un Dio lontano, distante, burbero, cattivo, sempre pronto a farcela pagare, quanto - piuttosto – un Dio vicino; un Dio che per mezzo di vie misteriose – al di là delle nostre tante e non poche infedeltà – continua ad amarci fino alla follia e ad indicarci la via della meta del nostro pellegrinaggio.

Anche stasera siamo invitati a metterci dinanzi al Signore che ha scelto di stringere un patto di sangue con noi e, così come ci ha assicurato prima dell’Ascensione – con la promessa: «io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo!» (Mt 28, 20) -, proprio nell’Eucarestia visibilizza la sua presenza reale, offrendoci la possibilità di divenire un solo Corpo con Lui - che si fa «il pane vivo, disceso dal cielo e chi ne mangia vivrà in eterno» (Gv 6,51), perché Dio-è-in-lui) - ed anche un solo Corpo tra di noi, per essere “comunione visibile di comunità”.

Quando i discepoli chiedono a Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?» (Mc 14,12) - si era, infatti, al primo giorno della settimana della Pasqua degli Ebrei, caratterizzata soprattutto dalla celebrazione “in famiglia” (che per noi significa: essere-insieme-in-comunità) per ricordare e ravvivare il dono della liberazione, che si rinnova annualmente - Gesù offre un’indicazione significativa, particolare e di certo non comune: «vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua: seguitelo» (v. 13). Facendo per un attimo mente locale, nel Vangelo di Giovanni, questo segno è legato alla figura della Samaritana andata al pozzo di Giacobbe in Sicar per attingere acqua.

Un segno ed una scena che ci richiama a quella sete di senso e di verità che la donna samaritana scoprì ed annuncio ai compaesani, ossia la necessità di un’acqua “viva” che disseti per sempre.

Cari fratelli e sorelle, questa stessa immagine – questa sera, contemplando il mistero del Corpo e Sangue del Signore, sembra chiederci:

vuoi vivere l’Eucarestia? Devi avere “realmente” sete di Lui; devi desiderare l’amore della sua presenza. Fratelli e sorelle: dobbiamo avere fame e sete del Signore!

Ma, noi abbiamo ancora sete di Dio? Lo desideriamo realmente nella nostra vita? Ha ancora senso la sua presenza reale nel sacramento, che non è semplicemente lo stare nel Tabernacolo delle nostre Chiese?

Cari fratelli e sorelle, il rischio purtroppo è quello di vivere come se Dio non ci fosse, che è la premessa per qualunque deriva etica, culturale e antropologica; è il prodomo per una cultura di morte.

Dinanzi all’Eucarestia, questa sera, riflettiamo seriamente sul senso e l’orientamento del nostro presente storico.

L’inedia, l’accidia, la pigrizia… che attraversano le nostre quotidianità ci rinchiudono in una sorta di bolla di autoisolamento, di chiusura nel privato, con il dilagare dell’individualismo, dell’indifferenza e del disinteresse verso tutto ciò che è sociale, ecclesiale e comunitario.

Papa Francesco, alcuni anni fa, ci esortava «a non cadere nella tentazione dell’empietà, cioè di vivere, e forse anche di pregare, come se Dio non esistesse, e come se i poveri non esistessero» (Catechesi, 21 ottobre 2020).

Quell’uomo del Vangelo con la brocca d’acqua accompagnò i discepoli al Cenacolo, nella stanza al piano superiore: «una grande sala, arredata e già pronta» (v. 15). Gli indica il luogo della celebrazione… si fa strumento ed intermediario dell’incontro per la nuova alleanza.

Il Signore ancora oggi continua a desiderare di celebrare l’eucarestia in un'altra stanza al piano superiore: quella della nostra vita personale. Cerca di abitare in noi ospitandoci in sé… fino a farci diventare Amore come Lui e in Lui. Affinché noi diventiamo ciò che mangiamo. Siamo così chiamati a confrontarci con questo amore radicale e totale per incarnarlo nella storia e nella quotidianità della vita. Gesù ha fatto la sua parte, continua a farla, ed aspetta che anche noi facciamo la nostra.

Come nel contesto del Cenacolo di Gerusalemme il Signore vorrebbe trovare la nostra vita: aperta, accogliente, ospitale, arredata e ben preparata. Perché il Signore Gesù, nella celebrazione della sua Cena-Eucaristica, non ci ha consegnato solo un rito (come poteva esserlo per la Pasqua degli Ebrei) o la sua presenza sacramentale, ha piuttosto aperto una strada e uno stile di vita, ha voluto consegnarci il modo di spezzare e donare il proprio corpo, il modo da versare e donare il proprio sangue. Per questo, la partecipazione all’Eucarestia non è un semplice atto devozionale ma una prova di coraggio, un impegno ad essere pane spezzato e sangue versato per tutti, proprio come Cristo Gesù.

Carissimi fratelli e sorelle, questa Festa del Corpus Domini come singoli e come comunità – proiettati verso il prossimo Giubileo che inizieremo a livello diocesano il prossimo 29 dicembre proprio qui in Cattedrale - ci affida una missione specifica. Ci chiede di diventare “uomini e donne con una brocca in mano” per riaccendere il desiderio e la sete di Dio. Trasformiamoci, personalmente ed insieme, nella sala del cenacolo, luogo accogliente, ospitale ed attraente, laddove tutti possano incontrare Gesù. Condividiamo le nostre vite, sull’esempio del Signore, donandole per gli altri, al fine di far riconoscere – in concreto – l’amore di Dio, quale segno di «speranza che non delude» (Rm 5,5). Amen!

✠ Sabino Iannuzzi
Vescovo