Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per l’inizio del ministero pastorale di Parroco di Don Roger Zama Akian
Sabato 9 Novembre 2024 Mons. Sabino Iannuzzi ha presieduto presso la Parrocchia Maria SS. Immacolata di Palagiano la Santa Messa per l’inizio del ministero pastorale di Parroco di Don Roger Zama Akian. Di seguito l'omelia pronunciata da Mons. Vescovo.
Carissimi fratelli e sorelle,
oggi è un giorno di gioia e di festa per questa nostra Comunità parrocchiale dell’Immacolata, perché il Signore continua a manifestare la sua provvidenza d’amore con il dono di un nuovo padre e pastore: il caro don Roger, che saluto con particolare affetto e fin d’ora ringrazio per la sua piena ed incondizionata disponibilità nel mettersi al servizio dell’unico progetto di Dio per l’edificazione del Suo Regno d’amore e di pace!
Un “Regno d’amore e di pace” in cui il solo a «regnare per sempre è il Signore», – come ci ha ricordato il Salmista – perché è Lui, il Signore, «che rimane fedele per sempre, rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati», interviene in ogni situazione opportuna e inopportuna del nostro vivere e soprattutto «sconvolge le vie dei malvagi» (cfr. Sal 145).
Saluto con affetto tutti voi, fratelli e sorelle di questa comunità parrocchiale di Palagiano che oggi siete chiamati a farvi “grembo accogliente”, i parenti di don Roger, i confratelli presbiteri, ad iniziare dal Vicario generale, mons. Renzo Di Fonzo, e dal nuovo Vicario foraneo, don Lorenzo Cangiulli, i diaconi, il Signor Sindaco, il caro Domiziano Pio Lasigna, le autorità civili e militari, così come i diversi amici di don Roger che lo hanno accompagnato, qui a Palagiano, dopo aver vissuto i suoi ultimi diciotto anni di ministero a Massafra, nelle Parrocchie di San Lorenzo e del Sacro Cuore.
Ma, prima di addentrarmi nella riflessione, un saluto caro – colmo di ringraziamento – lo rivolgo a don Salvatore Casamassima. Quando ho bussato alla porta della sua vita e, come il Signore con Abram (cfr. Gen 12,1), gli ho chiesto di uscire – dopo ventotto anni – dalla sua terra e di andare verso Massafra per condividere un progetto nuovo a favore di una comunità ferita, per l’improvvisa e cruenta morte del suo giovane pastore, ed oggi bisognosa di un padre maturo nel ministero, che la custodisca e l’accompagni con gioia nel percorso di fede, speranza e carità, con grande disponibilità e generosità, come farebbe un figlio all’interno di una famiglia o un fratello nei confronti dei propri fratelli che sono in difficoltà, mi ha restituito l’assenso al “sì” di quella promessa di obbedienza manifestata il 19 maggio di quarant’anni fa nelle mani di Mons. Appignanesi, mio predecessore.
In questo particolare contesto liturgico abbiamo ascoltato una Parola che ci ha consegnato l’esperienza di due donne, entrambe vedove, la prima a Sarèpta di Sidone e la seconda nel Tempio a Gerusalemme. Donne sole, povere e abbandonate.
Infatti, nell’antico oriente con la morte del proprio marito le donne erano prive di ogni sorta di autorità ed erano poste ai margini della società, poiché non vi era più chi assicurava loro un mantenimento e una tutela giuridica e, non di rado, erano costrette persino a mendicare in balìa della prepotenza altrui.
Nella scena della prima Lettura, tratta dal primo libro dei Re, ci si rende conto sin da subito della grande fatica che fa questa donna nel recuperare quelle provviste richieste dal Profeta Elia per il suo sostentamento pur assicurandole che «la farina della giara non si esaurirà e l’orcio dell’olio non diminuirà fino al giorno in cui il Signore manderà la pioggia sulla faccia della terra» (1Re 17, 14).
Proviamo a metterci, per un attimo, nella condizione di questa vedova che possiede un figlio e «un pugno di farina nella giara e un po’ d’olio nell’orcio» (1Re 17, 12) ed è pronta a «mangiare per l’ultima volta e poi a lasciarsi morire» (ivi) e, proprio in quel momento, vede arrivare questo profeta con la pretesa di voler mangiare e di fatto è nell’impossibilità di assecondarlo.
Noi cosa avremmo fatto?
Forse gli avremmo chiesto di passare oltre, perché quanto in possesso è sufficiente solo per noi… Ma la vedova, sì, dice questo «per la vita del Signore, tuo Dio… mangeremo e poi moriremo», ma non fa come dice, piuttosto dona tutto quello che ha, pur sapendo che non ce ne sarebbe stato di lì a molto, perché non pioveva e non c’erano raccolti.
Nella pagina del Vangelo, Gesù, seduto di fronte alla cassa del tesoro del Tempio, è affascinato dallo stridore che si è venuto a creare tra l’atteggiamento dei ricchi, fondato sulle offerte superflue di cui non hanno veramente bisogno, e quello della vedova povera che vi getta due monetine che fanno un soldo (Mc 12,42), potremo dire nulla.
Ma, tutto il suo niente, quella vedova lo dona al Tempio!
Nella vita di questa vedova, come in quella di Sarèpta, vi è uno sguardo che ha del miracoloso. E’ ricco di stupore. Perché queste due donne si fidano di Dio. Si fidano di Lui e gli consegnano tutto quello che avevano, senza trattenere nulla per sé.
E noi, fratelli e sorelle, cosa diamo a Dio?
Un piccolo tempo delle nostre giornate? Una preghiera? Un sacrificio? È veramente Dio il tutto della nostra vita?
Le nostre scelte, la nostra esistenza, partono da questo sguardo ricco d’amore e di stupore verso Dio? Oppure come gli scribi del Vangelo il nostro sguardo è ripiegato su noi stessi, preoccupati della nostra immagine, desiderosi di ricevere consensi ed essere apprezzati dagli altri? Bramosi dell’apparire persone di successo, sempre vincenti?
Come stanno davvero le cose nella nostra vita?
Da queste provocazioni emerge una riflessione carica di vicinanza e d’affetto, ricca di augurio per il ministero pastorale che oggi don Roger inizia qui a Palagiano.
Essere pastore secondo il cuore di Dio significa vivere come il Buon Pastore che ha dato la sua vita per il suo gregge.
Come queste due donne della liturgia che, nella consegna totale della loro vita, fanno riferimento al personaggio che sta al centro dell’annuncio della Lettera agli Ebrei (la seconda lettura): il Signore Gesù, l’unico e vero sommo sacerdote, che ha consegnato la sua vita nelle mani del Padre, facendo di essa un dono totale (mediante il sacrificio di se stesso), per realizzare quell’alleanza salvifica che ci ha procurato il perdono dei peccati, in attesa della pienezza del suo Regno d’Amore e di pace.
In Gesù, che è la Via, la Verità e la Vita ci è stato detto tutto, ma soprattutto ci è stato dato tutto.
In Lui è la “pienezza dei tempi”. In Lui il tempo stesso si è compiuto.
Infatti, non abbiamo più nulla da attendere, da cercare, da sperare, se non un nostro graduale inserimento nel Suo mistero d’amore, in virtù dell’opera instancabile, dolce e forte, dello Spirito Santo. Ecco perché, con sant’Agostino, viene spontaneo proclamare: «Ogni nostra speranza è posta in Cristo. È Lui tutta la nostra salvezza e la vera gloria» (Discorso, 46,1).
Quelle due donne – con il loro esempio – rimandano a Colui che ha fatto della sua vita un dono totale per gli altri, tanto che la prima vedova – quella di Sarèpta di Sidone – consegnando l’essenziale per l’ultimo pasto, continuò a «mangiare lei, il profeta e la casa di lei per diversi giorni e la farina non venne meno e l’olio non diminuì» (cfr. 1Re 17,15-16) e la seconda – quella del Vangelo – meritò l’elogio di Gesù più di tutti coloro che, nel tesoro, avevano gettato ingenti ricchezze (cfr. Mc 12,43-44).
Questo insegnamento di vita mi spinge a dire che l’essere qui oggi di don Roger non è di certo per l’assunzione di una responsabilità che gli conferisce onore e prestigio rispetto ad altri o ad altre situazioni che ha già vissuto. No!
È piuttosto l’entrare in una fase nuova della sua vita, dove è chiamato a coniugare la sua esistenza in una dinamica sponsale con questa porzione di popolo che siete voi, la cara comunità dell’Immacolata. Voi che siete la sposa di Cristo, che il Signore stesso affida a don Roger dicendogli: ama questa comunità, ama questa gente, come io, il Signore, la amo, fino a dare tutta la tua vita per loro.
Per vivere questa dimensione non c’è bisogno del martirio ma di sicuro c’è da spendersi quotidianamente a totale disponibilità del Popolo di Dio, nel qui ed ora della storia, in una forma umile e concreta, mettendo in gioco tutte le dimensioni della propria vita, per fare di essa sempre un dono totale, manifestando sempre l’amore di Cristo.
Questa sera don Roger stringe un patto sponsale con questa comunità parrocchiale. Lui è chiamato ad amarla con l’esercizio della paternità, ma tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, siete invitati a restituirgli amore attraverso la preghiera, la comunione fraterna, la partecipazione corresponsabile e il vissuto battesimale, proprio della missione di ciascuno.
Se è vero che un presbitero fa una Parrocchia, è anche vero che una Parrocchia fa un presbitero.
L’ultimo Sinodo dei Vescovi sulla sinodalità (da poco concluso) parlando della Parrocchia la definisce come il «luogo privilegiato di relazioni, accoglienza, discernimento e missione» (Documento finale, n. 117). Realtà in cui bisogna «camminare insieme come discepoli di Gesù nella diversità dei carismi e dei ministeri» (ivi, 120), rigenerandosi (sempre e di nuovo) attraverso percorsi virtuosi ed allargando lo sguardo oltre “rischiosi steccati”, prodomi di morte, per nuovi e generativi processi di condivisione.
Caro don Roger l’augurio che ti faccio questa sera l’ho prendo da alcune espressioni che il Signor Mario Caputo, allora presidente dell’Azione Cattolica di questa Comunità parrocchiale, proprio in questa Chiesa, volle rivolgere a don Salvatore in occasione del suo XXV di sacerdozio, quando tra l’altro diceva: «la sua testimonianza è un dono per la nostra comunità parrocchiale; in tutti questi anni egli ci ha insegnato: il valore dell’accoglienza, a considerare la Parrocchia casa di tutti e di ciascuno, a impegnarci affinché nessuno al suo interno di senta forestiero».
Sia anche questo il tuo programma pastorale.
Caro don Roger, concludendo voglio affidarti al Sacro Cuore di Gesù, con le parole di Papa Francesco a conclusione dell’Enciclica sull’amore umano e divino del Cuore di Gesù Cristo: «Prego il Signore Gesù che dal suo Cuore santo scorrano – per te e per questa comunità dell’Immacolata di Palagiano – fiumi di acqua viva per guarire le ferite che ci infliggiamo, per rafforzare la nostra capacità di amare e servire, per spingerci a imparare a camminare insieme verso un mondo giusto, solidale e fraterno» (Dilexit nos, 220).
Amen!
Buon cammino don Roger! Buon cammino comunità dell’Immacolata!
+ Sabino Iannuzzi