Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per l’inizio del ministero pastorale di Parroco di Don Salvatore Casamassima
Questa sera Mons. Sabino Iannuzzi ha presieduto la Santa Messa per l’inizio del ministero pastorale di Parroco di Don Salvatore Casamassima presso la Parrocchia San Francesco da Paola in Massafra. Di seguito l'omelia pronunciata da Mons. Vescovo.
Carissimi fratelli e sorelle,
la preghiera proposta dal salmista continua a riecheggiare in quest’assemblea quale canto di lode al Signore, perché è Lui, il solo a non abbandonaci mai ed anche nei momenti più bui e nelle più disparate situazioni della vita ci lascia intravedere la luce della grazia, che sprigiona forza, coraggio e gioia.
Lo scorso 16 settembre pomeriggio, proprio in questo luogo, come Comunità parrocchiale di San Francesco da Paola davamo il nostro estremo saluto al carissimo don Giuseppe Oliva – a cui rinnoviamo il comune ricordo, continuando ad accompagnarlo con il suffragio – deceduto improvvisamente, dopo un periodo di ospedalizzazione. In quei giorni particolari della sua malattia e poi della morte, sembrava, come se all’improvviso, le tenebre avessero avvolto la storia e la vita di questa comunità parrocchiale.
Ma il Signore che, «rimane fedele e regna per sempre» (Sal 145), non abbandona mai i suoi figli nell’ora della tempesta e traccia sentieri nuovi ed inediti, con «un forte incoraggiamento ad afferrarci saldamente alla speranza che ci è proposta» (Spes non confundit, 25), nella certezza che Lui «pascolerà il suo gregge come un pastore; radunerà gli agnelli col suo braccio» (Is 40,11). E questa sera proprio il Signore vi ha radunati qui perché possiate accogliere il nuovo pastore che fin dall’eternità ha preparato per voi e che incomincia «a vivere con il suo nuovo gregge, per nutrire le pecore ed affezionarsi a loro. Un pastore che sarà davanti al popolo per segnare la strada; in mezzo al popolo come uno di loro per condividere la realtà ecclesiale e dietro al popolo per essere vicino a coloro che vanno in ritardo» (Papa Francesco, Omelia, 11 ottobre 2022).
Per questo rivolgendogli il saluto, avverto forte la necessità, come Padre e Pastore di questa Chiesa locale, di esprimere il mio ringraziamento a don Salvatore Casamassima, perché – non senza difficoltà e sofferenza – ha immediatamente accolto l’appello del Signore, che si è manifestato attraverso di me, e come Abramo ha intrapreso la salita da Palagiano a Massafra per iniziare questo progetto nuovo ed inedito della sua vita.
Grazie don Salvatore, perché con la maturità presbiterale che ti appartiene, sono certo che saprai custodire ed alimentare quanto seminato in questa “vigna del Signore”, soprattutto attraverso la virtù della minorità, tipicamente francescana, che ti caratterizza, con un servizio-ministero che procede dall’Amore.
Saluto con affetto tutti voi, fratelli e sorelle di questa amata comunità parrocchiale di Massafra, i parenti di don Salvatore e gli amici che da Palagiano lo hanno accompagnato, i confratelli presbiteri, iniziando dal Vicario generale, mons. Renzo Di Fonzo, e dal Vicario foraneo, don Giuseppe Ciaurro, a cui ritengo doveroso rivolgere un ringraziamento del tutto particolare per il tempo di amministrazione di questa Parrocchia, insieme a don Nino Pensabene, durante il quale hanno curato con amore questo gregge.
Due delle letture appena proclamate – la prima e il vangelo – hanno un identico protagonista: una vedova, cioè una donna che nella antica società semita era considerata una persona molto vulnerabile, perché sprovvista di prestigio e risorse.
Della vedova di Sarèpta di Sidone, il libro dei Re ci racconta che un giorno le si presentò innanzi il profeta Elia e le chiese «un po’ d’acqua e un pezzo di pane» (1Re 17, 10-11). Ella non aveva in casa nulla di cotto, se non un pugno di farina e un po’ d’olio, con il quale fare una focaccia, mangiarla con il proprio figlio e poi attendere la morte, non possedendo – per la siccità del clima – null’altro.
Della vedova al Tempio di Gerusalemme sappiamo che passa per la cassa del tesoro e vi getta due monetine che fanno un soldo (Mc 12,42), potremo dire nulla.
Dal confronto tra queste due vedove ricaviamo una prima riflessione. L’esperienza della donna di Sarèpta di Sidone è a lieto fine, perché quando decide di privarsi del suo ultimo boccone per darlo al profeta, avviene il miracolo: gli elementi posseduti (pur se pochi) non vengono mai meno, finché tutti possano saziarsi. Alla luce di questo possiamo affermare che Dio ripaga il dono di quanti si fidano e si affidano a Lui.
E noi? Ci fidiamo e ci affidiamo al Signore?
Quello del Vangelo, almeno nell’immediato, non sembra un lieto fine, perché la vedova consegna tutto quello che ha e passa oltre e nessuno la richiama per restituirgli il centuplo evangelico. Non c’è prodigio alcuno ed il suo gesto si consuma nel silenzio della fede tra lei e Dio.
Questa scena evangelica esige da ciascuno di noi una «fede retta, una speranza certa e una carità perfetta», come pregava Francesco d’Assisi dinanzi alla Croce di San Damiano, perché la ricompensa per la nostra vita non è tutta quaggiù, cioè in beni materiali. Con il Signore non vale il principio del do ut des, perché sarebbe più calcolo umano che fiducia.
Forse anche la vedova del Vangelo ebbe la sua ricompensa terrena, non in cose materiali ma in Regno di Dio: cioè in gioia, amore e pace nello spirito (cfr. Gal 5,22).
Una donna che, con il suo atteggiamento in antitesi a quello degli scribi, ci riconsegna lo stile proprio di Gesù che ci ricorda:
- di non suonare la tromba quando si fa l’elemosina, a differenza degli scribi e dei farisei che amano farsi vedere, per non fondare la vita sul culto dell’apparenza;
- di custodire la purezza dell’intenzione quando si prega per Dio e non per crescere nella stima degli uomini, per non soccombere al culto dell’esteriorità;
- di non cedere alla tentazione dell’ammirazione nel fare il bene, per evitare il culto della propria immagine.
Una donna che – e qui la seconda riflessione – si meritò, chiamati i discepoli, l’elogio di Gesù più di tutti coloro che, nel tesoro, avevano gettato ingenti ricchezze (cfr. Mc 12,43-44), perché il Signore non bada alla quantità, ma riconosce piuttosto quanto peso di vita c’è dentro ciascuno, quanto di cuore, quanto di lacrime, di speranza, di fede è dentro quei due spiccioli.
È la testimonianza di un’attenzione che il Signore riserva per coloro che si presentano senza maschere nella generosità, perché «Egli è in grado di riconoscere ogni buona intenzione che abbiamo, ogni piccola buona azione che si compie… E voi non pensate che sia bello sapere che, se gli altri ignorano le nostre buone intenzioni o le cose positive che possiamo fare, a Gesù non sfuggono, ma le ammira?» (cfr. Dilexit nos, 41). In qualche modo siamo sollecitati a partecipare dello stile della Vergine Maria «che contemplava tutto con cura e “lo custodiva nel suo cuore” (Lc 2,19.51)» (ivi, 42).
Così come, nella trama del vissuto della comunità parrocchiale, non possiamo non riconoscere – e qui la terza riflessione – la schiettezza del dialogo tra la vedova di Sarèpta di Sidone ed il Profeta Elia. Un dialogo che genera ed alimenta familiarità fino a raggiungere una relazione di comunione duratura, tanto che la donna equiparerà nella condivisione i suoi bisogni a quelli del profeta, lasciandosi condurre dallo stesso.
Cari fratelli e sorelle di questa comunità parrocchiale, oggi, il Signore vi sta affidando a don Salvatore, come la vedova lo fu al profeta. Non state a pesare il poco o il molto che avete, dimostrate piuttosto la vostra generosità nel donarvi per vivere la vostra esistenza all’insegna del tutto di Cristo, l’unico e vero sommo sacerdote – come ricorda l’autore della lettera agli Ebrei – che ha consegnato la sua vita nelle mani del Padre, facendo di essa un dono totale (fino all’ultima goccia di sangue), per realizzare quell’alleanza salvifica che ci ha procurato il perdono dei peccati, in attesa della pienezza del suo Regno d’Amore e di pace.
È proprio a partire da quell’unica e definitiva offerta che è possibile rinnovare il volto della «comunità parrocchiale, che si incontra nella celebrazione dell’Eucaristia – soprattutto nel giorno del Signore, Pasqua della settimana -, quale luogo privilegiato di relazioni, accoglienza, discernimento e missione» (cfr. Sinodo Vescovi 2024, Documento finale, n. 117). Realtà in cui bisogna «camminare insieme come discepoli di Gesù nella diversità dei carismi e dei ministeri» (ivi, 120), rigenerandosi (sempre e di nuovo) attraverso percorsi virtuosi ed allargando lo sguardo per generare processi di condivisione, fondati sulla «convivialità delle differenze» (T. Bello)
Già ieri sera, a Palagiano, in occasione del passaggio di testimone tra don Roger e don Salvatore, lo ricordavo: l’inizio del ministero genera un vincolo sponsale tra il Parroco e la comunità parrocchiale, così come tra voi e don Salvatore. Lui è chiamato ad amarvi con l’esercizio della paternità, ma tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, siete invitati a restituirgli amore attraverso l’intercessione, l’ascolto, l’apertura dei cuori, la condivisione fraterna, la partecipazione corresponsabile e il vissuto battesimale, proprio della missione di ciascuno. Perché se è vero che un presbitero fa una Parrocchia, è anche vero che una Parrocchia forma un presbitero, anche a 65 anni di vita e 40 di ministero. Si tratta di uno stimolo reciproco fatto di credibile testimonianza, segno di una consegna totale, laddove la parrocchia non può limitarsi a guardare i problemi interni, pur importanti, delle strutture, della liturgia, della catechesi e della carità, ma è chiamata a mettersi in cammino per portare Gesù nelle famiglie, nelle strade, nei luoghi del lavoro e delle varie attività, per essere “Famiglia di famiglie”. Con la necessità di stingersi insieme attorno alle mense del Pane e della Parola.
Nutrita dall’Eucarestia e illuminata dalla Parola, la Parrocchia trova la sorgente della comunione e della missione; trova la forza per testimoniare la propria fede e prendersi a cuore i bisogni del quartiere, interessandosi alle vecchie e nuove povertà e per vivere la pace come servizio agli altri.
In occasione della celebrazione del XXV di sacerdozio di don Salvatore, un fedele dell’Immacolata di Palagiano, formulandogli gli auguri, così si esprimeva:
«la sua testimonianza è un dono per la nostra comunità parrocchiale; in tutti questi anni egli ci ha insegnato: il valore dell’accoglienza, a considerare la Parrocchia casa di tutti e di ciascuno, a impegnarci affinché nessuno al suo interno di senta forestiero».
Caro don Salvatore che possa anche qui a Massafra incarnare con semplicità e gioia tutto ciò.
Affido l’inizio del tuo ministero al Signore con le parole che San Francesco d’Assisi ripeteva di sovente dinanzi a quella Croce di San Damiano a te particolarmente cara, perché possano esserti sempre di sostegno e di forza nel compiere in ogni situazione la volontà del Signore:
«O alto e glorioso Dio,
illumina le tenebre del cuore mio.
Dammi una fede retta,
speranza certa,
carità perfetta,
umiltà profonda.
Dammi, Signore,
senno e discernimento
per compiere la tua vera
e santa volontà.
Amen.» (San Francesco d’Assisi, Oratio crucis in Fonti Francescane 276)
Buon cammino don Salvatore!
Buon cammino cara comunità di San Francesco da Paola!