Skip to main content

Santa Messa Crismale: l'omelia di Mons. Sabino Iannuzzi

Mercoledì 16 Aprile 2025, Mercoledì Santo, Mons. Sabino Iannuzzi ha presieduto la Santa Messa Crismale alla presenza della comunità diocesana e del presbiterio. Di seguito la sua omelia.

Carissimi fratelli e sorelle,

anche stasera risuona l’invito di quest’anno giubilare a proseguire il nostro pellegrinaggio di speranza.

Stiamo celebrando la Messa in cui, come «corpo crismato» (Cettina Militello), impregnati dal buon odore di Cristo, ci ritroviamo nell’unica vocazione battesimale, pur nella diversità ministeriale, per metterci in ascolto dello Spirito e chiedergli di rinnovare la gioia dell’unzione, realizzando ciò che Dio desidera da ciascuno di noi.

È il momento in cui, circondato dal mio presbiterio, che saluto con affetto e ringrazio, benedirò gli Oli santi – il Crisma, l’Olio dei Catecumeni e degli Infermi – che accompagneranno la vita sacramentale di tutti noi, Popolo di Dio di questa Chiesa locale. Olii che serviranno per «cristificare tutto ciò che toccheranno» (don Tonino Bello). Infatti, come insegna S. Cirillo di Gerusalemme in una delle sue Catechesi mistagogiche: «Ricevendo il sigillo dello Spirito Santo siete divenuti Cristi. Tutto si è compiuto in voi figuratamente, poiché siete le immagini di Cristo… Voi siete stati unti di balsamo divenendo partecipi e compagni di Cristo» (cfr. San Cirillo di Gerusalemme, Catechesi mistagogica III, 1-2: PG 33, 1088).

Questa, però, è anche la circostanza in cui i presbiteri rinnovano le promesse sacerdotali, a conferma del loro servizio e dell’impegno ad essere, in concreto, autentici “servitori di speranza”.

Fratelli e sorelle, non dimentichiamolo mai, «la speranza non delude» (Rm 5,5) perché si fonda su Cristo Risorto, «Alfa e Omega» (Ap 1,8) della storia. In Lui, vincitore sulla morte, troviamo la forza per alzare lo sguardo e intravedere la meta (cfr. Spes non confundit, 5), senza cedere al pessimismo o alla paura, né cadere in un «fatuo ottimismo» (cfr. Spes non confundit, 24).

La speranza non è un’idea vaga, ma la persona viva di Gesù, che ci accompagna lungo i sentieri della vita.

Le Letture, appena proclamate, ci aiutano a scrutare il cuore di questa celebrazione.

Nel brano di Isaia (cfr. Is 61,1-3.6.8b-9), il profeta, ricolmo dello Spirito del Signore, annuncia il lieto messaggio ai miseri, la liberazione ai prigionieri e proclama l’anno di grazia del Signore, un’espressione che richiama la dimensione gioiosa, liberante e generosa del Giubileo. Dio non cessa di soccorrere il suo popolo: offre sempre l’opportunità di redenzione e di perdono, affinché la fede e la vita cristiana si rafforzino (cfr. Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, 42).

Per questo, l’anno di grazia del Signore si presenta, ancora oggi, come:

  • un tempo di misericordia, per sperimentare il perdono divino e diventare, a nostra volta, strumenti di riconciliazione;
  • un tempo di gratitudine, per riconoscere le meraviglie che Dio compie ogni giorno e così ringraziarlo con tutto il cuore;
  • un tempo per far memoria, per ricordare i prodigi del Signore, certi che la sua fedeltà ci accompagna sempre.

La pericope evangelica di Luca, ci invita ad entrare con Gesù, in giorno di sabato, nella Sinagoga di Nazaret per fare esperienza concreta dell’inizio del suo ministero, quando, aprendo (proprio) il rotolo del profeta Isaia, proclama che in Lui si compie quell’anno di grazia del Signore (cfr. Lv 25,10).

È lui l’inviato del Padre per portare il lieto annuncio ai poveri e la liberazione agli oppressi. È lui che con il mistero dell’Incarnazione e della Pasqua rende permanente quel tempo di grazia e la promessa lascia spazio al compimento (cfr. Mc 1,15).

Per questo, chiunque si affida per sempre a Cristo sperimenta la libertà dal peccato e la consolazione di Dio.

Il salmista, poi, ci ha aiutato a cantare l’eternità dell’«amore del Signore» (Salmo 88), mostrando come Egli sostenga la nostra speranza, perché come per Davide anche a noi il Signore promette:

«con il mio santo olio l’ho consacrato,
la mia mano è il suo sostegno,
il mio braccio è la sua forza» (ibidem).

Questo canto si è fatto ancora più intenso nel Libro dell’Apocalisse (1,5-8), dove Cristo è riconosciuto come il «testimone fedele» e «primogenito dei morti», Lui che ha versato il suo sangue per liberarci dai peccati e ci ha costituiti “sacerdoti” per il suo Dio e Padre.

Ecco, dunque, svelata la dignità di tutto il popolo cristianochiamato a vivere in santità per testimoniare l’amore di Dio nel mondo, secondo lo stile di Gesù: «perché anche voi facciate come ho fatto a voi» (Gv 15,3), nel rispetto della regola aurea: «e come volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fate a loro» (Lc 6,31).

Parole, queste, che nel contesto celebrativo odierno toccano in modo particolare i confratelli presbiteri.

Infatti, se tutto il Popolo di Dio, per il Battesimo – come dicevo prima – partecipa di questo sacerdozio santo, noi che abbiamo ricevuto l’Ordine Sacro, per una chiamata d’amore, siamo stati unti nello Spirito per servire il popolo e guidarlo sul cammino della salvezza.

Tra poco, rinnovando le promesse sacerdotali, ricorderemo con gratitudine il profumo del sacro crisma con cui siamo stati unti nel giorno dell’Ordinazione, segno della gioia dello Spirito effuso nei nostri cuori. Da quell’istante abbiamo ricevuto un compito di particolare responsabilità: portare il «buon profumo di Cristo»” (cfr. 2Cor 2,15) tra la gente, «dimostrando con l’amore di essere presenti» (S. Gregorio Magno, Moralia in Iob XXX, 8), quali ministri di speranza e di misericordia.

Come nel giorno dell’Ordinazione, per tre volte i presbiteri risponderanno: «Sì, lo voglio». Una risposta che ribadisce l’impegno ad esserci “fisicamente” e con “amore”, poiché se la nostra azione non è “carità pastorale”, purtroppo non è nulla, neppure una professione.

È un’adesione che diventa, ancora una volta, memoriale – di quanto già è eterno (nel per sempre) nella nostra vita – che rinnova l’atto di fede, di speranza e di amore per vivere in maniera singolare la consegna di Gesù ai suoi discepoli: «Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi» (Gv 20,21). Un ministero di amore e di vicinanza, per testimoniare ai fratelli la certezza della misericordia e del perdono di Dio, per fasciare le ferite del cuore, come «servi premurosi del popolo di Dio, da nutrire con la Parola e santificare con i sacramenti», come pregheremo nel Prefazio di questa Santa Messa.

Carissimi fratelli presbiteri, ricordiamoci spesso di questa essenziale prerogativa: dobbiamo essere “servi premurosi”. È una grazia da implorare incessantemente, perché come affermava il venerabile don Tonino Bello:

«nessuno si senta proprietario del popolo, gestore delle sue sorti spirituali, manipolatore della sua coscienza, agente segreto delle sue scelte libere, condizionatore delle sue opzioni. Ma semplicemente servo… Servo a tempo pieno, non a mezzo servizio. Servo insonne dalla mattina alla sera, e non con semplici prestazioni “part-time”. Servo amante degli ultimi posti, e non innamorato delle luci della ribalta. Servo ansioso di collegarsi con gli altri servi del Regno, non per fare il sindacato di categoria, o per promuovere rivendicazioni salariali, ma per servire con efficacia ed umiltà» (Tonino Bello, Omelia Messa Crismale, 1985).

Papa Francesco, nella Bolla Spes non confundit, ci esorta a essere “pellegrini di speranza”, ci chiede di sostenere chi vacilla e incoraggiare i cuori affaticati. Il nostro ministero, dunque, accenda, nei fedeli che ci sono affidati, il fuoco della speranza che nasce dal Vangelo, perché quanti ci incontrano possano percepire il profumo della Pasqua, la certezza che il male non ha l’ultima parola e che la vita vince sulla morte.

In questa prospettiva di speranza è essenziale unire le forze di tutti i membri della comunità ecclesiale, soprattutto in questa particolare stagione sinodale che ci chiede di riscoprire la bellezza di “pensare e camminare insieme”: Vescovo, presbiteri, diaconi, consacrati e laici, come un unico popolo in perenne “pellegrinaggio”. Nessuno si senta estraneo o marginale: siamo tutti parte corresponsabile nella costruzione del Regno di Dio, ciascuno secondo il proprio carisma e ministero. La comunione è la scelta della carità pastorale, sfida di fondamentale importanza. Perché senza l’unione di cuori e di intenti, la speranza si affievolisce. Non dobbiamo nasconderlo, viviamo in un tempo segnato da divisioni, tensioni e indifferenza, che possono rallentare – e non poco – la forza travolgente del Vangelo; perciò, come dice Gesù, facciamo in modo: «che tutti siano una sola cosa» (Gv 17,21). Laddove: l’unità non è uniformità, ma armonia di doni, ed il contributo di ciascuno è un dono da accogliere e valorizzare.

Carissimi fratelli e sorelle, come avvenne per Gesù nella Sinagoga, quando «gli occhi di tutti erano fissi su di Lui» (Lc 4,20), anche ora il nostro sguardo si rivolge a tutti i presbiteri. In loro si rende visibile il mistero di Cristo; perciò, vi invito ad averne stima e rispetto (ad amarli!) e a pregare affinché il dono della speranza non venga mai meno nei loro cuori e possano continuare a santificarvi con la gioia e la dolcezza del loro servizio. Io prego per loro tutti i giorni: sono “miei” figli e a loro devo un profondo grazie – non formale o di circostanza – per la docilità della vita, per il loro esserci e per tutto ciò che fanno!

E quando parlo dei “miei” preti (non in senso possessivo, ma parte di me, mia famiglia) non penso solo a coloro che sono in attività ministeriale, ma anche di coloro che, specialmente da quando sono in mezzo a voi, sono tornati alla casa del Padre.

Ringrazio don Renzo Di Fonzo, Vicario generale, per le parole augurali che mi ha rivolto all’inizio della celebrazione.

Al di là delle umane fragilità, ciascuno presbitero sia autentico «servo premuroso»con la passione del Vangelo, capace di «annunciare la buona notizia ai poveri, fasciare le ferite dei cuori infranti, donare conforto a chi è nel dolore, offrendo una corona al posto della cenere, olio di letizia invece del lutto, un manto di lode al posto di uno spirito abbattuto» (cfr. Is 61, 3a.6a).

E non dimentichiamo di pregare il Padrone della Messe perché continui ad inviare umili operai nella sua vigna (cfr. Mt 9,32-38).

Carissimi fratelli e sorelle, anche se il mondo spesso sembra avvolto da ombre e da dubbi, il Signore ci invita a guardare in alto. “La speranza non delude” (Rm 5,5) perché Gesù, morto e risorto, ha aperto per noi la via dell’eternità. Come presbiteri, rinnovando le nostre promesse, confermiamo di voler essere pellegrini di speranza, portando la luce di Cristo nei luoghi dove Egli ci manda. E voi, come fedeli laici, riscoprite la vostra chiamata ad essere, testimoni credibili e coraggiosi del Vangelo, nel quotidiano.

Camminiamo uniti, popolo di Dio pellegrinante, sostenuti dalla grazia di questo Giubileo che ci ricorda quanto Dio operi in mezzo a noi. La Vergine Maria, donna di speranza, accompagni il nostro passo e ci aiuti a pronunciare ogni giorno il nostro “sì, lo voglio” al progetto del Signore, così che, con il Salmista possiamo proclamare con fiducia: «Canterò in eterno l’amore del Signore» (Salmo 88,2). Amen!

+ Sabino Iannuzzi