Santa Messa per l’inaugurazione dell’Anno Giubilare nel Santuario Diocesano “Madonna della Scala” di Massafra: l'omelia di Mons. Sabino Iannuzzi
Carissimi fratelli e sorelle nel Signore,
rinnovo a tutti voi l’augurio di un buon anno e di un santo Natale.
Saluto con affetto P. Nino Pensabene, Rettore di questo Santuario diocesano, i presbiteri presenti, i Parroci delle sei comunità parrocchiali di Massafra, don Giovanni Nigro, Delegato diocesano per il Giubileo, don Lorenzo Montenegro, le cui mani profumano ancora di crisma per l’ordinazione presbiterale ricevuta l’altro ieri e le autorità civili e militari presenti, con un particolare saluto all’Ing. Roberto Scaravaglione, Sub- Commissario prefettizio del Comune di Massafra e gli Onorevoli regionali Dott. Michele Mazzarano e Dott. Antonio Scalera.
In questa seconda domenica del tempo di Natale, la Parola di Dio ci chiede di riflettere ancora sul mistero del Verbo che si fa carne e pone la sua dimora in mezzo a noi (cfr. Gv 1,14).
L’invito a soffermarci sul “mistero centrale” del Natale non è semplicemente quello di celebrare un evento passato, fermandoci alla gioia della nascita del Bambino di Betlemme – come spesso accade – ma di ricominciare ad accogliere, sempre e di nuovo, la grande verità di un Dio che continua a farsi “carne” per condividere la nostra umanità, con le sue gioie e le sue fatiche.
Se è vero che talvolta consideriamo le storie di vita (la nostra e quella degli altri) come un libro già letto, Dio desidera invece scrivere con noi capitoli sempre nuovi della vita. Infatti, riflettendo sulla novità del Dio-con-noi, ma soprattutto del Dio-per-noi, San Bernardo, nei suoi Discorsi sull’Avvento, parlando del Natale come festa dell’incontro, lo descrive così: è l’incontro con Colui «che è venuto nella debolezza della carne [ndr: a Betlemme nella storia], viene nella potenza dello Spirito [ndr: nella quotidianità del vissuto] e che verrà nella maestà della gloria [ndr: alla fine dei tempi]» (San Bernardo, Discorso 5 sull’Avvento, 1).
E’ una venuta che, come proclama l’evangelista Giovanni del Prologo, non tutti hanno accolto, eppure «a quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio» (Gv 1,12).
All’interno di questo intreccio di accoglienza che rende figli di Dio, si inaugura per questo Santuario – a partire da oggi – un tempo speciale di grazia e di rinnovamento, in comunione con la Chiesa universale. Sarà un anno in cui questo luogo sacro è chiamato a farsi «spazio privilegiato per generare speranza» (Spes non confundit, 24). Luogo in cui offrire il dono della speranza che «nasce dall’amore e si fonda sull’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce» (Spes non confundit, 3) e che, facendosi grazia-incarnata, ha la forza di rinnovare l’umanità – ciascuno di noi – nella figliolanza, permettendoci di sperimentare consolazione, misericordia e riconciliazione.
Insieme alla Cattedrale di Castellaneta e all’altro Santuario diocesano della Mater Domini di Laterza, come abbiamo ascoltato all’inizio della celebrazione, anche questo Santuario è luogo di grazia giubilare, divenendo segno della «tenda (dimora) di Dio in mezzo agli uomini» (Gv 1,12), così da accogliere l’invito del Signore è compiere il cammino di speranza «che non delude» (Rm 5,5).
La stessa Sapienza di Dio, come ricorda il Siracide (Sir 24,1-4.12-16), per ordine del creatore dell’universo ha «piantato la propria tenda» in mezzo al popolo eletto, a dimostrare che il Dio della salvezza non è un sovrano lontano e irraggiungibile, ma una Persona che sceglie di condividere e di abitare la nostra storia e di camminare con noi. La Sapienza, generata “prima dei secoli” – lo stesso “principio” di cui parla il Prologo di Giovanni per il Verbo – si stabilisce in Sion, la città amata dal Signore, e mette radici “in mezzo a un popolo glorioso”. Allo stesso modo, Gesù che è la Sapienza incarnata, vive tra la gente, sperimenta la quotidianità, si lascia coinvolgere dalle gioie e dalle fatiche degli uomini.
Il salmista (Salmo 147) ci ha fatto cantare la lode per l’opera realizzata da Dio che, proprio come un padre premuroso, irrobustisce le mura di Gerusalemme e sazia di ogni bene i suoi figli. È un invito a riconoscere i segni concreti dell’agire divino in mezzo a noi: la pace, il nutrimento, la protezione, la Parola che “corre veloce”. Perché Egli è un Dio che ama e provvede, che non abbandona mai i suoi figli in balìa del male.
Infatti, come raccomanda Papa Francesco per quest’anno giubilare: «oltre ad attingere la speranza nella grazia di Dio, ricordiamoci di riscoprirla anche nei segni dei tempi che il Signore ci offre… È necessario prestare attenzione al tanto bene presente nel nostro vissuto per non cadere nella tentazione di ritenerci sopraffatti dal male e dalla violenza. I segni dei tempi, che racchiudono l’anelito del cuore umano, bisognoso della presenza salvifica di Dio, chiedono di essere trasformati in segni di speranza» (Spes non confundit, 7), da donare con particolare attenzione alle tante situazioni descritte dalle opere di misericordia corporale e spirituale (cfr. Francesco, Misericordiae vultus, 15)[1], da riscoprire e non dimenticare.
È questa la novità che San Paolo invita a riscoprire nella Lettera agli Efesini (Ef 1,3-6.15-18), dove «benedice Dio per ogni benedizione spirituale» e ricorda che siamo stati scelti «prima della creazione del mondo» (Ef 1,4) per una vocazione particolare: «essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci ad essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo» (ibidem).
Per questo chiede che il Signore «illumini gli occhi del nostro cuore per farci comprendere a quale speranza siamo chiamati» (Ef 1,18).
Ma che cos’è questa speranza, se non l’«insostituibile compagna che fa intravedere la meta: l’incontro con il Signore Gesù» (Spes non confundit, 5)?
Il Giubileo che stiamo vivendo, dedicato proprio al tema della speranza, ci spinge a riconoscere tutto ciò: la speranza cristiana non è un’illusione o un «fatuo ottimismo, ma un dono di grazia che abita il realismo della vita» (cfr. Spes non confundit, 24), la solida promessa di partecipare alla vita di Dio, già anticipata qui nella Chiesa e nel suo agire sacramentale.
Per questo siamo sollecitati a riconoscere e accogliere il Signore che viene, così da aprirci alla grazia dell’Incarnazione, lasciando che la Parola prenda davvero dimora in noi e trasformi la nostra vita, redendola un annuncio vivo di speranza per tutti, alla maniera di Giovani Battista, «per rendere testimonianza alla luce vera, che illumina ogni uomo» (Gv 1,8-9).
Questo Anno Santo è un’occasione preziosa per far risuonare con forza il Vangelo della vita, per testimoniare la gioia dell’incontro con Cristo che salva e rinnova.
A tutti voi, fratelli e sorelle,
l’invito a vivere il pellegrinaggio giubilare: venite spesso in questo luogo santo – magari con la famiglia, i gruppi parrocchiali, i movimenti ecclesiali – per attingere la grazia che il Signore ci elargisce.
«Nel cuore di ciascuno di noi è racchiusa la speranza come desiderio e attesa del bene, pur non sapendo che cosa il domani porterà con sé. L’imprevedibilità del futuro, talvolta, fa sorgere sentimenti contrapposti: dalla fiducia al timore, dalla serenità allo sconforto, dalla certezza al dubbio. L’augurio è che il Giubileo possa essere per tutti occasione di rianimare la speranza, così che la sua luce raggiunga ogni persona, come messaggio dell’amore di Dio rivolto a tutti!» (cfr. Spes non confundit, 1.6).
Ai confratelli presbiteri,
l’invito a «essere testimoni fedeli di questo annuncio di speranza» (cfr. ibidem), facendosi strumenti della misericordia di Dio, sempre disponibili al ministero della Riconciliazione e guidando i fedeli in percorsi di preghiera e riscoperta dei Sacramenti.
Affidiamo questo cammino di luce e di vita, di speranza e di attese, alla materna intercessione della Vergine Maria, qui venerata come “Madonna della Scala”. Per l’occasione anche la Statua processionale è qui presente, Nel suo grembo il Verbo si è fatto carne, e nel suo cuore ha custodito ogni Parola (cfr. Lc 2,19).
A Lei chiediamo di accompagnarci durante questo anno di grazia, perché ci insegni a custodire la presenza di Cristo nella nostra vita e a donarla a chiunque incontriamo. Così, sorretti dalla grazia di Dio e dal sostegno reciproco, potremo essere una comunità di fratelli che, grazie alla desiderata esperienza dell’amore reciproco «sia in grado di offrire anche solo un sorriso, un gesto di amicizia, uno sguardo fraterno, un ascolto sincero, un servizio gratuito, consapevoli che, nello Spirito di Gesù, tutto ciò può diventare per chi lo riceve un seme fecondo di speranza» (Spes non confundit, 18).
A Lui, Verbo eterno del Padre, che si è fatto carne per noi, ogni lode e gloria, ora e per i secoli futuri. Amen!
+ Sabino Iannuzzi
[1] «Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti» (Francesco, Misericordiae vultus, 15).