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Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa esequiale di don Giuseppe Oliva

Nel pomeriggio di Lunedì 16 Settembre 2024 Mons. Sabino Iannuzzi ha presieduto la Santa Messa esequiale di Don Giuseppe Oliva presso la Parrocchia San Francesco da Paola di Massafra, dove era Parroco dal 2012. Di seguito l'omelia pronunciata da Mons. Vescovo.

A nome di tutti desidero rinnovare le condoglianze e la vicinanza a papà Martino e a mamma Giovanna, così come ai fratelli del caro don Giuseppe Oliva, Roberta e Simone, e dire grazie a tutti voi qui presenti e a quanti da sabato mattina hanno fatto la loro visita di commiato.

Tanti sono stati i messaggi di cordoglio che in questi giorni mi sono giunti e tra questi permettetemi di ricordare quello di S. Ecc. Mons. Pietro Maria Fragnelli che il 28 settembre 2007 lo ordinò presbitero ed il 14 ottobre 2012 gli affidò la cura pastorale di questa comunità di San Francesco da Paola; di S. Ecc. Mons. Claudio Maniago, già Vescovo di questa nostra Diocesi; di S. Ecc. Mons. Giuseppe Satriano, Presidente della Conferenza Episcopale Pugliese ed Arcivescovo di Bari-Bitonto; S. Ecc. Mons. Vito Piccinonna, Vescovo di Rieti, che ieri pomeriggio ha fatto anche visita.

Così come un ringraziamento particolare per la vicinanza e la presenza a S. Ecc. Mons. Giuseppe Favale, Vescovo di Conversano-Monopoli, figlio di questa nostra Chiesa locale e al Signor Sindaco di Massafra, l’Avv. Fabrizio Quarto, che a nome dell’intera Città di Massafra, per la celebrazione di questo rito esequiale, ha indetto il lutto cittadino.

“La morte verrà all’improvviso,

avrà le tue labbra e i tuoi occhi

ti coprirà di un velo bianco addormentandosi al tuo fianco…

verrà senza darti avvisaglia,

non suona il corno né il tamburo”

Queste sono espressioni tratte dal testo della canzone dal titolo “La morte” (1967) di Fabrizio De André. Sappiamo bene come questo cantautore fosse molto caro a don Giuseppe tanto da scrivere, in occasione del XXV della morte, e a realizzare con alcuni amici in questa estate, uno spettacolo musicale, per ripercorrere l’universo poetico del cantautore genovese.

Forse don Giuseppe avrà ripensato proprio a queste espressioni negli ultimi giorni, consapevole del decorso della improvvisa malattia manifestatasi poche settimane fa, in una calda estate, quando nella sua mente si affollavano idee per elaborare programmi e progetti per il nuovo anno pastorale, per il primo Giubileo ordinario del XXI secolo, per questa sua comunità di San Francesco da Paola e per il Santuario della Madonna della Scala (individuata come Chiesa giubilare) ed anche per la nostra realtà diocesana nel servizio di Direttore dell’Ufficio Catechistico Diocesano che aveva assunto lo scorso anno con tanto entusiasmo.

Forse don Giuseppe avrà ripensato a queste parole di De André, ma di certo avrà trovato pieno conforto nelle espressioni del Vangelo, in quelle parole che Gesù stesso ha pronunciato nella sua ultima cena e che in questo momento sono risuonate per tutti noi. Parole che testimoniano la bellezza di una paternità che si manifesta come una carezza per i discepoli impauriti. Parole tra le più belle ed efficaci per togliere alla realtà della morte tutto il contorno di angoscia, dolore e paura che lo smarrimento di ogni morte porta con sé. «Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio… vado a prepararvi un posto» (Gv 14,12)

Sono sicuro che queste parole avranno sostenuto anche “il viaggio della vita” di don Giuseppe, che ha trascorso gli ultimi giorni del suo percorso terreno manifestando gratitudine a Dio e a quanti a diverso modo gli sono stati vicini e che di certo, con il sorriso e la pacatezza della parola che lo connotava, tra il serio e il faceto, ripeterebbe a tutti noi le parole della fede: “non siate turbati, sono andato alla casa del Padre, per ricevere la dimora che mi fu preparata fin dall’eternità’

Parole che sono risuonate dentro di me sabato mattina quando alle 4.40 don Fernando Balestra mi comunicava della morte di don Giuseppe. Con la mente sono andato al nostro ultimo incontro, quello di mercoledì sera all’Ospedale Moscati di Taranto, quando mi chiese di sedermi accanto alla sua poltrona dinanzi alla finestra della stanza e con naturalezza – come guardando nell’infinito del panorama – mi condivise, tra l’altro, la bellezza dell’autentica prossimità che – proprio nei giorni di ospedale – stava sperimentando nella fraternità presbiterale, così come dei tanti che si rendevano presenti e della difficoltà nel rispondere al telefono, se non a qualche messaggio. Si rammaricava per l’impossibilità a compiere i suoi doveri di Parroco e prima di chiedermi di pregare insieme aggiunse: «non chiedo il miracolo per la mia situazione, ma che io sappia accogliere e compiere bene sino alla fine la sua volontà». E quella volontà, in quel momento, si è compiuta in pienezza, come per Gesù nell’ora del Getsemani.

Gesù nel Vangelo ci ha ricordato, inoltre: «Abbiate fede… vado a prepararvi un posto… verrò di nuovo e vi prenderò con me» (Gv 14,1.3).

La morte, è vero, viene all’improvviso, ma a differenza di ciò che cantava Fabrizio De André, non ha le nostre labbra e i nostri occhi, ma ha il volto di Cristo, ha il calore del suo abbraccio ed ha il suono delle sue parole.

E questo incontro per don Giuseppe è avvenuto in un giorno particolare, quello dell’Esaltazione della Santa Croce, perché noi – carissimi fratelli e sorelle – «non esaltiamo una croce qualsiasi, o tutte le croci: noi esaltiamo la Croce di Gesù, perché in essa si è rivelato al massimo l’amore di Dio per l’umanità [amare senza misura]. Quando volgiamo lo sguardo alla Croce dove Gesù è stato inchiodato, contempliamo il segno dell’amore, dell’amore infinito di Dio per ciascuno di noi e la radice della nostra salvezza. Da quella Croce scaturisce la misericordia del Padre che abbraccia il mondo intero. Per mezzo della Croce di Cristo è vinto il maligno ed è sconfitta la morte, ci è donata la vita e ci è restituita la speranza» (PAPA FRANCESCO, Angelus 14 settembre 2014).

E don Giuseppe, terminando il suo breve “calvario” di appena 19 giorni, ha sperimentato la potenza della Croce di Cristo, nella quale le nostre “croci” sono redente e la morte è vinta per sempre. Un calvario, vissuto da don Giuseppe, non con rassegnazione, ma come “offerta”, soprattutto di questa Parrocchia di cui è stato Parroco fino alla fine, celebrando la sua quotidiana eucarestia” sull’altare del letto dell’ospedale.

Il Signore Gesù che è «la via, la verità e la vita» (Gv 14,6) ci ha indicato la mèta del nostro cammino: «dove sono io, siate anche voi» (Gv 14, 3).

Questo è il suo grande desiderio condiviso prima ai discepoli: di stare con loro per l’eternità. Volontà che è consegnata ora a ciascuno di noi.

Nella prima lettura San Paolo ci ha ricordato che il senso del nostro cammino terreno è quello di poter partecipare alla risurrezione di Gesù e stare con Lui, per tutta l’eternità, ormai al di là della morte: «Sappiamo infatti che, quando sarà distrutta la nostra dimora terrena, che è come una tenda, riceveremo da Dio un’abitazione, una dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli» (1Cor 5,1). Perché il nostro Dio, quel Signore che don Giuseppe ha annunciato con la parola ed ha testimoniato con la vita; che ha servito nel ministero sacerdotale. . . è comunione e vuole entrare in relazione con ciascuno di noi, ci spinge a riscoprirci, sempre e di nuovo, «artigiani di relazione e di comunione» (PAPA FRANCESCO).

Papa Francesco, nella Bolla di indizione del Giubileo ordinario dell’anno 2025 si chiede: «Cosa sarà dunque di noi dopo la morte?» e continua spiegando: «Con Gesù al di là di questa soglia c’è la vita eterna, che consiste nella comunione piena con Dio, nella contemplazione e partecipazione del suo amore infinito. Quanto adesso viviamo nella speranza, allora lo vedremo nella realtà. Sant’Agostino in proposito scriveva: «Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena dovunque. Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te». Cosa caratterizzerà dunque tale pienezza di comunione? L’essere felici. La felicità è la vocazione dell’essere umano, un traguardo che riguarda tutti» (Spes non confundit, 21).

Sono certo che la Madonna della Scala, nostra principalissima Patrona, tanto cara anche a don Giuseppe, e che in questi anni ha servito come Rettore del Santuario che ne custodisce la sua santa immagine, nell’ora del passaggio gli avrà offerto proprio la sua “scala”: «attraverso la quale Dio scende per incontrare l’uomo e l’uomo sale per incontrare Dio e contemplare il suo volto nel volto di Cristo» (PAPA FRANCESCO, Vultum Dei quaerere, 37), così da accompagnarlo, come Madre amorevole, all’incontro con il suo Figlio per «abitare in quella dimora non costruita da mani d’uomo, eterna, nei cieli» (1 Cor 5,1) e raggiungere «al termine della corsa vero la mèta, il premio che Dio ci chiama a ricevere in Cristo Gesù» (Fil 3,13). Amen!

 + Sabino Iannuzzi