Skip to main content

Omelia di Mons. Sabino Iannuzzi durante la Santa Messa per il 70° anniversario dell'ordinazione presbiterale di Mons. Cosimo Damiano Fonseca

Giovedì 19 Settembre 2024 la comunità parrocchiale di San Lorenzo M. in Massafra si è ritrovata per festeggiare il 70° anniversario dell’ordinazione presbiterale di Mons. Cosimo Damiano Fonseca con la Santa Messa di ringraziamento presieduta da Mons. Sabino Iannuzzi. Di seguito l'omelia pronunciata da Mons. Vescovo.

Saluto tutti voi, carissimi fratelli e sorelle, che nella gioia siete qui questa sera per lodare e ringraziare il buon Pastore per la storia di una chiamata iniziata proprio in questo giorno e in questa chiesa settant’anni fa con l’Ordinazione presbiterale.

Carissimo Mons. Fonseca, caro don Cosimo, sono davvero lieto di vedere riunite intorno a te tante persone, ad iniziare dai confratelli presbiteri che saluto, così come le diverse autorità civili e militari, ad iniziare dal primo cittadino di questa tua città di Massafra, l’Avv. Fabrizio Quarto. Presenze, queste, che mi fanno cantare come Davide, all’arrivo dei pellegrini a Gerusalemme, la beatitudine dell’amore fraterno: «Ecce quam bonum et quam jucundum habitare fratres in unum» (Sal 133,1) (=Ecco, com’è bello e com’è dolce che i fratelli vivano insieme!). Espressione più bella dell’essere Chiesa ed esserlo nel desiderio di farlo insieme.

In questo nostro “camminare insieme”, ricordare il giorno dell’Ordinazione presbiterale di don Cosimo, è anzitutto un’occasione per innalzare a Dio il nostro grazie per il Sacerdozio, per questo grande «dono e mistero», come lo definiva san Giovanni Paolo II… Ma anche l’opportunità per esprimere a Dio la nostra gratitudine per l’amore con cui ci ama e ci sostiene, e di rinnovare l’offerta di noi stessi a Lui e ai fratelli ricordando che per la salvezza di tutti il Signore Gesù ha versato il Suo Sangue!

Alla luce di tutto ciò, l’unica grande parola che più si addice a questo momento - e che accompagna l’intera nostra celebrazione - è la parola greca: «Eucharistómen»; la stessa che il Papa emerito Benedetto XVI ricordò nel discorso di ringraziamento per gli auguri ricevuti da Papa Francesco in occasione del 65° anniversario della sua ordinazione sacerdotale, riprendendo quell’unica parola che egli aveva utilizzato nell’immaginetta di ricordo della sua prima messa, perché è la sola che, con riferimento all’intrinseca forza del mistero eucaristico, «ci rimanda a quella realtà di ringraziamento, a quella nuova dimensione che Cristo ha dato. Lui ha trasformato in ringraziamento, e così in benedizione, la croce, la sofferenza, tutto il male del mondo. E così fondamentalmente ha “transustanziato” la vita e il mondo e ci ha dato e ci dà ogni giorno il pane della vera vita, che supera il mondo grazie alla forza del Suo amore. Alla fine, vogliamo inserirci in questo “grazie” del Signore, e così ricevere realmente la novità della vita e aiutare per la transustanziazione del mondo: che sia un mondo non di morte, ma di vita; un mondo nel quale l’amore ha vinto la morte» (Benedetto XVI, Parole di ringraziamento per la commemorazione del suo 65° di sacerdozio, 28.06.2016).

Anche don Cosimo, questa sera, vuole consegnarci il suo «Eucharistómen» attraverso due versetti significativi del salmo 116, impressi in apice al ricordino di questa giornata, che poi vi sarà distribuito:

«Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore» (Sal 116, 12-13).

È il canto del pio giudeo che liberato all’improvviso da “tristezza ed angoscia”, pieno di gratitudine, si rivolge al Signore offrendo davanti a tutto il popolo il suo «sacrificio di ringraziamento». Riconosce che nella sua vita “tutto è grazia”, così come Georges Bernanos (1888-1948), mutuando le parole di Santa Teresa di Lisieux, concluderà il suo romanzo Diario di un curato di campagna. Se “tutto è grazia”, cioè dono di Dio, a noi resta unicamente di ringraziarlo. Come la Vergine Maria nel canto del Magnificat, anche don Cosimo può ben dire “grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente” (Lc 1,27) … e per ricordare “queste grandi cose” basta scorrere il suo non breve curriculum, al di là dell’età raggiunta.

«Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?»

Il salmista chiedendo cosa potrà offrire in cambio comprende ciò che Dio realmente desidera da quel «povero su cui Lui (il Signore della vita) ha posato il suo sguardo… e che lo solleva dalla polvere e dall’immondizia per farlo sedere tra i principi del suo popolo» (Salmo 112).

La più grande “gloria” da poter offrire a Dio, non consiste in quello che noi facciamo per Lui, quanto, piuttosto, dalla docile disponibilità di continuare a riconoscere e testimoniare con la vita che noi dipendiamo in tutto da Lui, perché solo in Dio è la vera vita.

L’apostolo Paolo ce l’ha annunciato nella seconda lettura, quando scrive al discepolo Timoteo: «Dio, nostro salvatore vuole che tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,3-4), perché è Lui [“via, verità e vita” (Gv 14,6)] l’unica sorgente di salvezza; infatti è «per mezzo dell’unico maestro e mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù, che ha dato sé stesso in riscatto per tutti» (1Tm 2,5-6).

“Verità” che don Cosimo ha saputo continuamente ricercare ed incontrare, respirandola a due polmoni: quello della fede e quello della razionalità, «promuovendo – come servizio alla missione salvifica della Chiesa - il dialogo con il mondo della cultura e della scienza» (Papa Francesco, Evangelii gaudium, 132), facendosi carico, come presbitero, delle attese, delle fatiche e delle speranza delle tante persone incontrate, di ogni ceto e condizione, senza mai trascurare di abitare quei luoghi che oggi sono detti «nuovi Areopaghi, dove “credenti e non credenti possono dialogare sui temi fondamentali dell’etica, dell’arte, e della scienza, e sulla ricerca della trascendenza… quali vie di pace per il nostro mondo ferito» (Evangelii gaudium, 257).

Caro don Cosimo,

celebrare settant’anni di sacerdozio, non è di certo facile, perché significa vivere il tempo dell’anamnesi, che non è un esercizio di compiacenza, ma di riconoscenza. Un esercizio in cui il Signore ci permette di sperimentare con particolare intensità il tempo come kairòs, quale oasi di grazia e di pace, rispetto alle precedenti esperienze di krònos, laddove il tempo scorreva veloce per il carico di impegni. Perché questo è il tempo della consegna, il tempo per unificare il passato ponendolo sotto la misericordia di Dio, al fine di perfezionarci in uno sguardo contemplativo sulle realtà, al fine di cogliere la presenza di Dio, anche dove nessuno è capace di vederla, attingendo – con sempre rinnovato coraggio – la forza necessaria per continuare a sperare.

Animato dallo Spirito, ti auguro di godere della pace del Signore e della sua serenità, riconoscendo come l’anziano Abramo di essere stato benedetto in tutto (cfr. Gn 24,1), così che con il salmista possa intonare il tuo Eucharistómen:

«Che cosa renderò al Signore per tutti i benefici che mi ha fatto?
Alzerò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore» (Sal 116, 12-13).

Che la Madonna della Scala, l’arcangelo san Michele e il martire san Lorenzo, ti proteggano e ti accompagnino nel prosieguo del tuo cammino. Amen!

 

+ Sabino Iannuzzi